Approvvigionamento alimentare
Quantità di alimenti disponibile in ogni periodo per la popolazione umana. Per tutta la prima – e più lunga – parte della loro storia gli uomini vissero di caccia e di raccolta e in questo erano di volta in volta condizionati dall'avversità o dal favore delle condizioni ambientali. Pertanto, il numero di individui che poteva sopravvivere in una data area geografica era limitato a seconda dei periodi e delle circostanze. Solo quando gli uomini cominciarono a sperimentare i vantaggi dell'aggregazione di più nuclei familiari in piccole comunità sociali, il loro controllo sull'ambiente circostante ha iniziato a essere più efficiente.
Con la nascita dell'agricoltura, che risale a circa 10.000 anni fa, il cibo a disposizione della popolazione umana iniziò gradualmente ad aumentare, diventando sempre più un fattore costante e sempre meno una variabile fortuita della vita degli individui. Nell'arco di qualche migliaio di anni quelli che erano un tempo esclusivamente cacciatori si trasformarono gradualmente in agricoltori. Ciò ha comportato lo sviluppo di pratiche e tecniche quali l'addomesticamento, l'allevamento e la cura degli animali, la selezione, la coltura e lo stoccaggio delle specie vegetali commestibili e alcune forme elementari di trasformazione degli alimenti. Condizione necessaria per compiere tutte queste attività fu l'abbandono del nomadismo in favore di una vita più stanziale, concentrata in villaggi relativamente stabili. Inoltre, l'incremento sia qualitativo che quantitativo della disponibilità di cibo, insieme all'abbandono di forme di nutrizione fortemente irregolari, contribuì alla rapida crescita delle popolazioni che hanno dato origine alla civiltà moderna.
L'esplorazione del Nuovo Mondo ampliò le zone coltivate e condusse alla scoperta e all'addomesticamento di importanti specie vegetali e animali fino ad allora sconosciute agli europei. La rivoluzione industriale rappresentò un altro momento cruciale nello sviluppo sia della domanda, sia dell'offerta di alimenti. L'applicazione delle nuove conoscenze scientifiche e tecnologiche ai sistemi di produzione alimentare ha, infatti, provocato un cospicuo incremento del rendimento delle colture agricole e degli allevamenti. L'inizio dello sfruttamento di fonti di energia, quali il carbon fossile, è alla base dello sviluppo dei moderni processi industriali, tra cui quelli di coltivazione estensiva e di trasporto dei prodotti agricoli. Infine, i progressi della medicina hanno, in molte regioni del mondo, migliorato le condizioni di salute e assicurato un'aspettativa di vita più lunga, creando nel contempo una maggiore domanda di cibo.
Nell'arco di un periodo di tempo relativamente breve, le risorse alimentari globali si sono enormemente accresciute e la popolazione mondiale si è moltiplicata molto più rapidamente che in passato. Altrettanto velocemente, tuttavia, si è iniziato a intuire che la produzione di cibo non avrebbe potuto continuare a crescere di pari passo con l'aumento della popolazione. Nel 1798 l'economista Thomas Robert Malthus espresse questa preoccupazione in forma matematica, sostenendo che mentre la popolazione, se non viene sottoposta ad alcuna limitazione, cresce in modo esponenziale, lo sviluppo della produzione di cibo può avere solo un'andamento di tipo aritmetico.
Nel XX secolo in quasi tutti i paesi del mondo il tasso di mortalità si è ulteriormente ridotto, grazie a numerosi fattori, tra i quali il miglioramento delle condizioni igieniche generali e il controllo farmacologico e sanitario delle infezioni. I tassi di natalità si sono, invece, ridotti solo nei maggiori paesi industrializzati e comunque in modo numericamente molto meno rilevante rispetto alla diminuzione dei tassi di mortalità. Questa situazione ha condotto a una crescita vertiginosa della popolazione mondiale: nel 2000 si contano quasi 6 miliardi di individui, il 75% dei quali risiede nei paesi in via di sviluppo.
Da parte degli specialisti della nutrizione sono stati messi a punto alcuni parametri riguardo alle quantità di nutrienti necessari al mantenimento di una buona salute; essi hanno, inoltre, condotto studi approfonditi per ogni singola nazione, che hanno messo in evidenza sia i bisogni nutrizionali di un generico individuo sano, sia le varianti dovute a fattori quali l'età, il sesso, il tipo di attività svolto, la struttura corporea e il luogo di residenza. In Italia gli standard nutrizionali, designati come LARN (Livelli di assunzione giornalieri raccomandati di energia e nutrienti), vengono fissati e costantemente aggiornati dalla Società italiana di nutrizione umana. In generale, nei paesi industrializzati la popolazione assume mediamente più nutrienti di quelli strettamente necessari alla propria sopravvivenza, mentre nei paesi in via di sviluppo si assiste alla situazione opposta, che nella maggior parte degli individui determina una grave insufficienza nutrizionale.
Incrementare sia le aree destinate all'agricoltura, sia la percentuale di cibo prodotta per unità coltivata è possibile, ma spesso la spesa necessaria a ottenere questi risultati è troppo gravosa. Tra il 1991 e il 2001 la produzione mondiale di cibo è cresciuta costantemente, anche nei paesi in via di sviluppo: il vero problema resta l’equa distribuzione. Secondo la FAO, la produzione di cereali, legumi, ortaggi e tuberi in 91 paesi in via di sviluppo potrebbe alimentare i loro 2,8 miliardi di abitanti, se fosse equamente distribuita.
La sfida, oggi, è da un lato quella di fare coincidere domanda e offerta di alimenti e, dall'altro, quella di perseguire una maggiore giustizia ed equità, in modo da assicurare quantità di cibo adeguate alla totalità della popolazione mondiale. Se la distribuzione delle risorse fosse meno squilibrata, la produzione attuale degli alimenti sarebbe di per sé sufficiente a coprire il fabbisogno calorico di tutto il mondo. Il problema della distribuzione delle risorse si accompagna, inoltre, a quello – di non facile soluzione – del contenimento della pressione demografica nei paesi poveri. Per aumentare la produttività reale delle risorse del pianeta occorre, innanzitutto, trasformare l'atteggiamento della popolazione nei confronti dell'ambiente, da un approccio di sfruttamento indiscriminato a uno più rispettoso e conservativo delle ricchezze.
Un esempio è quello della scelta tra consumo di carne e una dieta prevalentemente vegetariana. Consumare direttamente le piante, piuttosto che cibarsi degli erbivori che a loro volta vengono nutriti con le piante, sarebbe un sistema di gran lunga più efficiente ed economico. I popoli dei paesi industrializzati continuano, tuttavia, a preferire decisamente i cibi di origine animale, per ottenere i quali occorre spendere molto denaro per coltivare foraggio in modo estensivo. Il passaggio di una parte sostanziale della popolazione mondiale a un'alimentazione maggiormente vegetariana dovrebbe condurre a una sostanziale riduzione delle colture foraggere e a una parallela estensione delle colture dedicate direttamente all'alimentazione umana. La soluzione non è, tuttavia, così banale. I cibi di origine animale hanno, infatti, un ruolo strategico nell'alimentazione umana, in quanto forniscono all'uomo alcuni nutrienti essenziali che scarseggiano o sono assenti nei prodotti di origine vegetale. Inoltre non tutte le zone della terra sono coltivabili e alcune possono essere solo destinate a pascolo. Infine, per conservare la fertilità del suolo, in agricoltura è indispensabile alternare le colture per l'alimentazione umana alle colture foraggere; è quindi importante che queste ultime, insieme agli scarti di produzione dei cereali e delle altre coltivazioni, vengano convertite, attraverso l'alimentazione degli animali, in cibo utile all'uomo.
Sotto il patrocinio dell'ONU e della FAO sono stati avviati numerosi programmi di ricerca volti a trovare soluzioni realistiche di bilanciamento a livello mondiale della domanda e dell'offerta di alimenti.
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