INTRODUZIONE CUCINA PIEMONTESE
La cucina piemontese è una cucina ricca di
sapori e di storia. La varietà del territorio piemontese e del suo conseguente
clima ha prodotto una differenziazione nella gastronomia delle diverse aree
geografiche piemontesi.
Non solo la morfologia del territorio ha prodotto una cucina varia
ma anche la presenza, nei secoli scorsi, di una popolazione suddivisa in
distinte classi sociali, ecco allora che si possono differenziare una
cucina più “popolana” e povera e una cucina più ricca
ed elaborata.
La cucina povera rispecchia in tutto e per tutto il territorio
e le materie prime che questo metteva a disposizione, mentre la cucina
più ricca, propria delle corti e della nobiltà, ha molte più influenze
francesi, essendo stato il territorio piemontese per lungo tempo sotto il
dominio sabaudo.
Oggigiorno si denota un forte interesse e un'efficace promozione da parte della
popolazione piemontese della cucina locale, tutto ciò si
manifesta nella volontà di voler vedere riconosciuta l'alta qualità non solo di
alcune materie prime ma anche di prodotti tipici quali, per esempio, il numero
vastissimo di produzioni casearie.
Ecco, allora, che si possono trovare nell'attuale gastronomia piemontese
prodotti DOC e IGP.
Nell'affrontare la vastissima gastronomia piemontese ci siamo soffermati sulle
province più interessanti da questo punto di vista.
La bellezza delle sue campagne, dei laghi, delle montagne, delle risaie, dei
parchi, delle città d'arte. La bontà dei suoi preziosi tartufi e dei funghi, dei
suoi grandi vini e di tutta la sua cucina che offre infinite
specialità costituite da piatti nati "poveri", ma oggi considerati invece
raffinati. Infine le innumerevoli feste tradizionali paesane, gli itinerari
culturali, ma anche eno-gastronomici, i prodotti tipici, le manifestazioni, le
sagre.
CUCINA PIEMONTESE
Si sente sovente affermare che l'arte culinaria è un pianeta senza frontiere,
luogo in cui le regole non sono assolute e la creatività, guidata da precise
conoscenze, diventa la norma unica per una buona cucina. Ma
perchè allora, quando percorriamo precisi itinerari gastronomici ci accorgiamo
di un denominatore comune che caratterizza quel particolare territorio? Perchè,
ad esempio, le cucine locali e regionali sono diverse tra di loro, e perchè la
ristorazione piemontese, è diversa da quella emiliana o laziale e altre, ancor
più da quella straniera?
La risposta è ovvia. La gastronomia fa parte della cultura di un popolo,
soprattutto della sua storia; ne segue le vicende nel tempo, lasciandosi anche
cullare dalla geografia del luogo, dall'ambiente stesso che in ogni caso scarica
la sua parte di suggestione. Dunque, soprattutto è tradizione. Ed è questa a
dettarne le condizioni: un fenomeno lento che si consuma e perfeziona nel tempo,
ammansito o aggredito da eventi storici, invasioni di popoli, povertà,
ricchezza, prepotenza di signorotti che lasciavano ai propri sudditi le parti
meno nobili degli animali macellati e prodotti certamente non di prima qualità.
Sono questi gli eventi che, nel loro risvolto positivo, hanno provocato la
nascita della cucina povera e la sua evoluzione, cibi oggi diventati
raffinati e rari, per ciò che hanno dovuto e saputo fare abili cuoche di
famiglia, nel tempo.
Ricca di questi eventi, la cucina regionale storica in
generale, vive oggi il suo momento migliore, specialemente in quei luoghi dove
ricercatori e appassionati, riprendono ed elaborano antichi sapori traendoli da
consumate ricette, pur perfezionate, se vogliamo, per le variegate sostanze oggi
a disposizione.
CUCINA TIPICA PIEMONTESE PRODOTTI TIPICI DEL PIEMONTE
La cucina piemontese affonda le proprie radici nella tradizione
contadina. Una cucina di ispirazione popolare quindi, ma non
per questo priva di eleganza e raffinatezza. La varietà degli scenari geografici
regionali ( risaie, laghi, colline, monti) fornisce ai cuochi locali una grande
scelta di alimenti base: da essi, attraverso metodi di preparazione anche
complessi, si ottengono piatti dal gusto delicato e coinvolgente. Dal colline
del Monferrato, nel sud della regione, provengono le verdure, dall'Albese, il
rinomatissimo tartufo bianco. La Bassa piemontese, ad est delle Alpi, è la
patria delle risaie. Intorno a Novara e Vercelli si coltiva uno dei più grandi
quantitativi di riso di tutta Europa. Nei suoi terreni acquitrinosi si trovano
altre prelibatezze della cucina storica piemontese, quali le
rane, servite fritte od in guazzetto e tutt'oggi uccise davanti al compratore
per farne verificare personalmente la freschezza, e le lumache, condimento
prelibato per vari tipi di primi e secondi piatti. Dal lago Maggiore e dal lago
d'Orta, a nord, provengono specialità quali il pesce persico ed altre
prelibatezze d'acqua dolce, mentre dalle montagne arriva il sapore di piatti
forti a base di polenta e castagne. Infine, dalle dolci colline delle Langhe
arrivano vini tra i più famosi del mondo, ottimi per accompagnare il pasto.
Riso, carne e tartufi
La base riconosciuta della cucina tradizionale piemontese è
senz'altro il riso. Da secoli costituisce una fonte alimentare decisiva per gli
abitanti di questa regione e la gente ha dato vita nel tempo a mille varianti di
preparazione di questo cibo; dal risotto all'anatra a quello con lo champagne e
gamberetti. Simbolo della città di Novara è la Paniscia , piatto di riso con
verdure, lardo, fagioli, salame, fegato di maiale e vino. A Vercelli invece il
riso si sposa con i fagioli e con le rane pescate nelle risaie, ma viene servito
anche con il gorgonzola e con le lumache. Assolutamente non trascurabile il
rilievo della cacciagione: fagiani, lepri e pernici vengono preparati in modi
gustosi e differenziati. Particolarmente complessa la tecnica di preparazione
del civet, una tipica variazione del salmì. Per preparare la lepre in civet
bisogna impiegare ben cinque giorni, necessari per la frollatura della preda e
la sua lenta cottura. Altro pilastro della cucina piemontese è
il bollito misto, vero e proprio piatto del buongustaio, composto da diversi
tagli di manzo e maiale lessati insieme in modo da fondere alla perfezione i
propri sapori. E' di solito accompagnato da salse saporite quali il bagnet verde
e quello rosso. Un posto d'onore lo meritano anche i brasati splendidamente
insaporiti dall'ottimo vino piemontese. Famosissimo il brasato al Barolo, dove
il manzo viene accompagnato con erbe aromatiche, verdure e lardo e trova
l'esaltazione finale con l'aggiunta del vino più famoso della regione. Citazione
d'obbligo, infine, per il condimento più nobile, ovvero il tartufo bianco, vero
e proprio orgoglio della cittadina di Alba. I cercatori trovano questo prezioso
fungo nel sottosuolo, nei pressi degli alberi, e gli amanti della buona
cucina lo pagano letteralmente a peso d'oro. Basti pensare che può
essere valutato dai due ai quattro milioni al chilo. Ne esistono circa cinquanta
qualità differenti, ma solo dodici sono commestibili. La raccolta è praticata
anche nell'Astigiano e nel Monferrato ma è ad Alba che si trova il più grande
mercato nazionale e dove si svolge da più di mezzo secolo la fiera del tartufo.
Il tubero del tartufo bianco va affettato in maniera molto sottile e deve essere
aggiunto come tocco finale su vivande di sapore tenue già cotte. Ottimo sul
risotto, le cotolette, le uova.
I vini
Il segreto che ha reso apprezzati in tutto il mondo i vini rossi piemontesi è un
particolare tipo di vitigno, il Nebbiolo dal quale si ottengono prodotti dal
gusto inconfondibile. Celeberrimo il Barolo delle Langhe, da accompagnare a
cacciagione ed arrosti, leggermente più delicato il Barbaresco preferito per
pietanze dal gusto maggiormente sfumato. Da menzionare anche la Barbera, ottimo
vino dal carattere variabile e prodotto in moltissime zone. Altro rosso
gradevole e leggero è il Dolcetto, considerato non a caso come il vino
piemontese di maggior uso quotidiano. E' possibile trovare anche vini bianchi
particolarmente gradevoli, quali il Cortese del Monferrato od il Passito. Il
Piemonte però non è solo la patria dei più grandi vini italiani. Qui, dall'uva
Moscato, coltivata nelle campagne di Asti, nasce lo spumante probabilmente più
bevuto al mondo, denominato appunto Asti spumante.
Acqui Terme
Sulle colline circostanti si raccolgono ottimi tartufi bianchi e funghi.
Specialità delle pasticcerie sono i "baci" di Acqui.
Alba
La qualità degli ingredienti utilizzati in cucina, la loro
freschezza e la particolare sensibilità dei ristoratori della zona, fanno di
Alba una delle città italiane di maggior rilievo gastronomico. Simbolo della
città è il tartufo, a cui ogni anno viene dedicato un importantissimo e famoso
mercato.
Asti
Ad Asti si ritrova la cucina classica piemontese, con qualche
specialità tipicamente locale, come la cotoletta all'astesana cucinata con
fettine di tartufo o la frittura mista all'astesana, fritto misto di carne con
fegato, rognone e punte di asparagi.
Canavese (Ivrea)
La gastronomia del Canavese comprende diverse produzioni tipiche, come i tomini
di Chiaverano, di latte di mucca o quelli di Montaleghe, di latte di pecora.
Numerose sono anche le specialità, tra cui il riso alla canavesana, cucinato con
vari formaggi, il coniglio alla canavesana, preparato in tegame con patate e
aromi e le cipolline di Ivrea, sott'aceto, famose anche al di fuori del
Piemonte.
Monferrato
La specialità delle pasticcerie del Monferrato sono i crumiri, tipici biscotti
secchi a base di farina bianca, farina di granoturco, zucchero e vaniglia.
Monte Rosa
Specialità del luogo è il miele del Monte Rosa.
Saluzzo
Nei ristoranti prevale, fra varie specialità regionali, la "quaietta" o
costoletta alla castellana: si tratta di filetto di vitello tagliato a sacca e
farcito con carne trita arrosto, formaggio e tartufi. Tipici sono anche gli
gnocchi alla Val Varaita, con fontina, stracchino e burro fuso.
Torino
Come tutte le grandi città, Torino ha assorbito le tradizioni gastronomiche
delle zone circostanti senza conservarne una propria. Tuttavia non si può
parlare della Torino gastronomica senza accennare ad alcuni prodotti
particolari, conosciuti anche a livello internazionale, come i giandujotti,
celebri cioccolatini che traggono il loro nome dalla maschera carnevalesca di
Gianduja, o i grissini torinesi, fragranti, leggermente polverosi di farina,
tirati a mano uno per uno.
Vercelli
La gastronomia della città è legata a due diverse caratteristiche tipiche della
provincia: la pianura a risaie e la collina pedemontana con coltivazioni
ortofrutticole e pascoli. Alcuni piatti tipici sono: brodera (riso bollito
irrorato con sangue di maiale), machet (polenta con latte e castagne), erbj con
el salam (piatto a base di asparagi selvatici, salame, pancetta).
STORIA SULLA CUCINA PIEMONTESE
Se è vero che la cucina piemontese è fra le più varie e
raffinate del nostro paese, è anche vero che tale varietà e raffinatezza non
sono solo dovute all'influenza della vicina Francia, paese riconosciuto ovunque
per la complessa elaborazione e ricchezza della sua gastronomia e che dal secolo
XVIII detiene il primato della cucina europea. Quella
piemontese è molto più autentica avendo saputo conservare intatti i buoni gusti
di una volta, le antiche tradizioni strettamente legate ai prodotti locali.
Molte delle ricette che compongono questa cucina sono infatti
di ispirazione contadina, perché valorizzano la freschezza dei prodotti genuini
della campagna anche se - come vedremo - non fu immune da influenze francesi. I
piemontesi sono per loro natura sobri, ma altresì amanti della buona tavola,
quindi buongustai ma non ghiottoni, hanno in altre parole gusti semplici che
hanno consentito di conservare nel tempo una cucina sincera, gustosa e
decisa nei sapori, senza influenze legate a mode che possono corrompere
la migliore tradizione. Detto questo, è bene subito precisare che i menù della
gastronomia piemontese sono molto ricchi e articolati, formati da molti piatti.
Tutti i gusti e le esigenze della tavola in Piemonte possono essere soddisfatti
con prodotti tipici della regione: dagli aperitivi, agli svariatissimi
antipasti, ai sostanziosi e gustosi primi e secondi arricchiti da vari contorni,
accompagnati dai famosi grissini torinesi (les petites baton de Turin di cui era
ghiotto Napoleone), dai saporiti formaggi (di cui ben otto sono D.O.C.), il
tutto seguito da dolci di fantasiosa pasticceria: dal famosissimo bonèt (=
berretto) formato da cioccolato e amaretti, alle piccole bignole, ai pasticcini
raffinatissimi, al torrone alla nocciola, al cioccolato di cui ricordiamo il
gianduja, che non è certo il solo ed è ancora molto diffuso in lavorazione
artigianale. Caratteristiche distintive di questa cucina sono
fondamentalmente l'impiego notevole del burro e del lardo (che però dal secolo
scorso va diminuendo in seguito alla scoperta del colesterolo), il consumo di
verdure crude, l'uso del sanato (che è la carne di vitello di pochi mesi nutrito
con solo latte, carne che si trova solo in Piemonte e nella Valle d'Aosta), la
varietà dei formaggi, l'uso piuttosto esteso dei tartufi, l'uso attento
dell'aglio che ha dato origine alla ormai famosa bagna cauda mai uscita dal
territorio piemontese. Un alimento distintivo della produzione piemontese è il
riso, anche se la sua coltura riguarda una particolare zona del territorio
piemontese: la pianura che si stende a forma di mezzaluna da Cuneo al Ticino, si
apre oltre la Dora Baltea e si allarga nel Vercellese piatto e verde, una terra
ricchissima di risorse agricole che ha trovato la sua unità agraria nella
coltura del riso. Si tratta di una larga fetta di pianura che comprende una
cinquantina di comuni e si estende per oltre milleduecento chilometri quadrati e
che è stata definita "la grande palude artificiale". L'acqua, dovunque presente,
ne costituisce la nota dominante, la differenzia nettamente dai paesi posti a
nord e a sud, anch'essi paesi agricoli, ma di colline, con vigneti e boschi
ricchi di funghi e tartufi. Questa omogeneità del Vercellese ha potuto plasmarsi
soltanto grazie al lungo lavoro di secoli e a opportuni sfruttamenti
dell'ambiente naturale: qui l'uomo ha saputo valorizzare la terra mediante un
lavoro metodico, costante e continuo. Guardando dalle torri di Vercelli, si vede
un paese tutto intersecato da lingue di terra rese spesso più evidenti da filari
di pioppi, tra cui si distendono a perdita d'occhio le risaie con le loro acque
apparentemente morte come in laguna. Nessun'altra regione in Europa produce
tanto riso quanto questa: il Giappone stesso ricorre ai raccolti del Vercellese
per sopperire al suo fabbisogno interno. Quindi il titolo di "capitale del riso"
è per Vercelli un titolo ben meritato. Nel Medioevo il Vercellese era terra di
"grange", cioè di franai, vaste fattorie agricole in cui i monaci benedettini e
cistercensi fecero il fulcro del loro lavoro di bonifica e di valorizzazione. Da
allora il riso andò conquistando i primi tratti di brughiera dissodata, che i
più antichi canali stavano per la prima volta dissetando: la risaia valorizzò in
tal modo sia le paludi sia le "baragge", determinando anche notevoli movimenti
stagionali di lavoratori che provenivano dalle terre povere della vicina
montagna. La coltura del riso si adattava in modo particolare alla natura dei
terreni del Vercellese, magri e pertanto poco fertili per altre più ricche
colture; appunto per questo - nonostante forti opposizioni soprattutto nel
Cinquecento e nel Seicento - la risicoltura andò espandendosi grazie alla
moltiplicazione di canali e di rogge, che sezionarono minutamente tutto il
territorio. La lunga epoca dei canali irrigatori alla quale è legata la
valorizzazione di questi terreni, doveva poi essere coronata da un'opera
notevolissima: la costruzione del Canale Cavour nel 1863, destinato soprattutto
ad incrementare l'irrigazione anche nel Novarese e nella Lomellina, oltre che a
migliorare l'ambiente naturale del Vercellese. Dunque gran parte dell'economia
agricola della pianura piemontese riposa sulla coltura del riso che nella
cucina piemontese soprattutto cittadina occupa un posto primario e
trova moltissime utilizzazioni. Citiamo ad esempio l'insalata di riso alla
novarese il cui sapore è affidato al tartufo; oppure il risotto alla piemontese
o la brudera vercellese (a metà fra risotto e minestra) o lo sformato di riso;
sono molte e tutte ottime preparazioni che dal Medio Evo si realizzano con il
riso che è alimento base della zona produttrice Pur avendo saputo conservare una
sua autenticità e avendo valorizzato sempre i suoi prodotti, fu inevitabile per
la cucina piemontese fare i conti con l'influenza che nel 1700
la vicina e confinante Francia sviluppò in tutta Europa; ne è testimonianza il
trattato settecentesco di anonimo intitolato "Il cuoco piemontese perfezionato a
Parigi" che può essere considerato il primo effetto del riflusso della cultura
gastronomica francese, a suo tempo - come abbiamo visto - evolutasi sulla
traccia di quella italiana dei secoli XVI e XVII. "Il cuoco piemontese
perfezionato a Parigi" raccoglie nell'ordine le ricette relative alle zuppe e
alle minestre; alla maniera di trinciare le carni; al modo di cucinare carni di
bue, vitello, maiale, montone, agnello, pollame, selvaggina, ma anche pesce
(ricordiamo che il Piemonte non ha sbocco al mare per cui il pesce viene
timidamente introdotto nella cucina piemontese importandolo).
Seguono erbaggi, legumi e uova; l'uso del latte e suoi derivati; l'uso delle
spezie, i dolci, le salse, frutta, bevande, marmellate, sciroppi ecc. ecc. Un
trattato esaustivo che ben riflette la situazione culinaria non solo piemontese
ma anche di molte altre regioni italiane. Fra le ricette piemontesi ricordiamo a
titolo esemplificativo le "Subbriche" alla piemontese, crocchette di verdura che
si preparano come segue: "Allessate la bieta, spremetela e trinciatela ben fina,
passatela poscia sul fuoco dentro una cazzarola con un pezzo di butirro, sale e
pepe pesto; quando sarà ben rosolata, levatela dal fuoco e poneteci dentro due
rossi d'uova e due bianchi, due pugni di parmegiano grattato ed un poco di
cannella in polvere; osservate che sia ben densa la composizione e fatela
raffreddare; indi uniteci ancora tre altri rossi d'uova. Abbiate una tortiera al
fuoco con butirro squagliato e ben caldo, poneteci dentro la composizione con un
cucchiaio, formandone più porzioni; quando saranno cotte da una parte, voltatele
dall'altra e fatele cuocere e ben fermare; indi servitele assai calde con
un'idea di culì sopra".
Nell'800 la cucina piemontese trova ospitalità nel trattato del
milanese Giovan Felice Luraschi pubblicata con il titolo "Nuovo cuoco milanese
economico". Naturalmente maggiore spazio è dedicato alla carne: ricordiamo la
ricetta del "Manzo ristretto alla piemontesa", un piatto molto ricco certamente
adatto ai rigori invernali che ricorda il brasato. "Prendete quattro libbra di
culatta, battetela bene, prontate dei filetti grossi di lardo, conditeli con
poco sale, pepe, drogheria ed una foglia di lauro trito fino, unite il tutto coi
filetti di lardo, indi fiselate (= legate con spago, dal francese ficeler) il
manzo con i detti filetti, fate tostare nel butirro una cipolla tagliata fina,
ponetevi il suddetto pezzo di manzo acciò prenda colore; frattanto allestite la
sua bagna per cucinarlo, prendete un poco di butirro, poca grassa di manzo
tridata e qualche fettine di lardo, poca cipolla, sellero (= sedano), carottole;
il tutto tagliato, poneteli in una cazzarola e fateli prendere un poco di
colore; mescolate il tutto con un cucchiale di farina e frumento e bagnatelo con
una pinta di vino rosso vecchio e una pinta di brodo buono, fate poi il tutto
bollire insieme per un quarto d'ora, indi passatelo al setaccio e versatelo
sopra il manzo, fatelo cuocere al dolce fuoco per lo meno cinque o sei ore e a
giusta cottura sgrassatelo, indi servitelo nel suo fondo (= intingolo)".
Ha parte fondamentale nella pubblicistica culinaria dell'Ottocento il
"Trattato di cucina pasticcera" del piemontese Giovanni Vialardi che fu
capocuoco di Carlo Alberto e di Vittorio Emanuele II che era un grande
buongustaio, un uomo dai molti appetiti, laico e godereccio. I suoi pranzi a
base di caccia sono rimasti famosi e così le ricette della bella Rosina
compaiono anche oggi in molti ricettari piemontesi anche se a nostro avviso
sembrano prive del fascino raffinato della cucina di questa
terra il che ci fa pensare che ben altre doti avesse la Rosina per legare a sé
il primo re d'Italia. È un'opera che ci fornisce un ricco repertorio di ricette
italiane e non, tramandandoci alcune ricette fondamentali della cucina
torinese e piemontese. Così vi troviamo il risotto alla piemontese "per
déjeuner" (= per colazione): "Avrete due litri di buon brodo bollente sul fuoco,
gettatevi mezzo chilogramma di bel risone pulito, fatelo cuocere diciotto minuti
a fuoco ardito. A giusta misura acconciatelo con sessanta grammi di buon
formaggio, sessanta grammi di burro fresco, sessanta grammi di tartufi bianchi
ben lavati, puliti dalle tacche (= macchie) nere, tagliati a fette sottili, un
po' di noce moscata, spezie e sale; aggiungete un po' di sugo se fa bisogno,
badando che resti un risotto un po' molle. Servitelo nella zuppiera con un po'
di sugo sopra. Per chi l'ama più duro puossi mettere entro uno stampo e
riversarlo sul piatto".
Ma anche la "zuppa alla canavese" (Tognaque = denominazione locale) o la zuppa
di zucca alla monferrina o la minestra di fagioli verdi alla piemontese o la
"fonduta (voce di origine dialettale che deriva dal piemontese fondua) di
tartufi bianchi" che è quasi un emblema della tavola soprattutto delle Langhe ma
anche di tutto il territorio piemontese: "Prendete quattro ettogrammi di
formaggio grasso detto fontina, netto dalla pelle, tagliatelo a pezzi, posto in
un tegame con acqua fresca, scolate via l'acqua, fate fondere la fontina adagio
sul fuoco lento tramenando (= mescolando energicamente) finché fusa e ben
liscia; aggiungete un uovo intero e tre rossi, oppure tre uova intere sbattute
con mezzo bicchiere di fior di latte, più sessanta grammi di burro fresco,
uniteli alla fontina tramenando forte sul fuoco finché siano rotti quei fili che
forma la fontina col diventar liquida, ed in breve diverrà spessa e liscia come
una crema, senza però mai lasciarla bollire; giusta di sale, pepe, servitela con
sessanta grammi di buoni tartufi bianchi netti e tagliati a fette sottili metà
mischiati colla fontina, e metà sparpagliati sopra".
Particolare è la spalla di montone farcita alla piemontese: "Disossate una
spalla di montone a forma di una borsa e marinatela con olio, aceto, cipolle e
prezzemolo per due ore; fate una farcìa (= impasto di ingredienti vari) con
quattro ettogrammi di carne di montone, netta dal grasso, pelle e nervi, più due
ettogrammi di lardo, un po' d'aglio e prezzemolo; tritate e pestate bene il
tutto, unitegli due uova intiere, un po' di sale, pepe, spezie, due cucchiai di
rhum e quanto un uovo di mollica di pane inzuppata nel fior di latte, mischiate
tutto bene e mettetelo entro la spalla che avrete asciugata; cucitela formando
una spalla rotonda; posta in tegame con la sua marinata e verdura ed una
ettogramma di burro, fatela rosolare, versatevi sopra mezzo litro di brodo od
acqua ed altrettanto di vino bianco, un po' di sale e fate cuocere adagio per
due ore circa; cotta tenera a cottura ridotta, tagliatela a fette sottili
levando il filo, e servitela con del choucroute (= cavoli cappucci conservati in
salamoia; voce francese dal tedesco sauerkraut) sotto, oppure servitela con
salsa fatta col sugo della sua cottura. Si può unire alla farcìa della lingua
salata e tartufi neri tagliati a dadi.
E citiamo inoltre i "Filetti di anguilla alla piemontese" che ricorda la ricetta
ancora in uso fra i piatti tradizionali piemontesi dell'anguilla alle erbe fini
di cui riportiamo la ricetta più classica; una ricetta storica che viene seguita
nelle cucine dei migliori ristoranti: "Pulite e tagliate l'anguilla a tronchetti
lunghi sei-sette centimetri, fatela saltare in padella con olio abbondante,
alloro e una cipolla affettata, asciugatela dell'unto sulla carta assorbente da
cucina e tenetela in serbo al caldo. Fate una bagna verde nel seguente
modo: tritate un grosso mazzo di prezzemolo (se teneri anche i gambi che sono
particolarmente saporiti) con alcune foglie di salvia, alcuni cipollotti (il
bianco e il verde) e spicchi d'aglio; per aumentare il volume del verde tritate
anche il cuore di un sedano, un pugno di spinaci e uno di bietole verdi. Fate
appassire per cinque minuti questa odorosa verzura con olio, burro e lardo, poi
aggiungete due cucchiai di capperi tritati, un trito fine di maggiorana, timo e
mentuccia, due o tre cucchiai di salsa di pomodoro e due o tre acciughe fresche
appena dissalate. Sciolte le acciughe, immergete nella bagna i vostri tronchetti
di anguilla, aggiungendo mezzo bicchiere d'acqua, regolate di sale e pepe e
portate a cottura. La salsa deve essere abbondante, verde chiara, non troppo
cotta, da potervi intingere il pane o la polenta".
Sempre nel trattato del Vialardi sono ricordate le "Tomatiche" (= pomodori)
farcite col riso alla novarese entrate nell'uso culinario di tante altre zone
italiane, la "Carlotte di mele o pere" la cui denominazione italiana deriva dal
francese charlotte, un dolce di frutta cotta e molte altre ricette fra le quali
riportiamo quella dei marrons glacés chiamati castagne confettate che pure hanno
conquistato nel dopoguerra l'Italia intera entrando fra i prodotti realizzati a
livello industriale. "Prendete delle belle castagne (marroni), pelatele, fatele
cuocere adagio nell'acqua che frema appena; cotte tenere, sgocciolatele, levate
lor la seconda pelle; poste in una terrina, versatevi sopra un sciroppo fatto
con dello zucchero quanto è il peso delle castagne, fuso e bollito un momento
con egual quantità d'acqua, lasciatele così ventiquattro ore, sgocciolatele su
d'uno staccio. Riposti nella terrina, fate ribollire il sciroppo, ridotto un po'
versatelo sopra le castagne e ripetete l'operazione per sei giorni, nell'ultima
volta fate ridurre il sciroppo alla gran piuma (espressione che probabilmente
significa molto adagio), gettatevi le castagne, fatele bollire per venti minuti;
versate il tutto in un vaso e raffreddato, coprite".
Nel ventesimo secolo sempre più è andata differenziandosi la gastronomia
cittadina che tende a essere sempre più povera di grassi e a tener conto della
dietetica da quella delle campagne rimasta saldamente legata alle più antiche
tradizioni di genuinità, ma anche di ricchezza di condimenti.
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