INTRODUZIONE CUCINA VALLE D'AOSTA
L'Italia è un paese dalle cento cucine e dalle mille ricette, un paese le cui tradizioni gastronomiche presentano una grande varietà di tradizioni dovute a esperienza storica segnata dal particolarismo e dalla divisione politica e culturale mai completamente superata. La realtà socio-politico-culturale del nostro paese ha reso dunque anche la cucina italiana molto ricca e diversificata, tanto che non esiste neanche oggi, agli albori del Terzo Millennio, una cucina nazionale.
La diversità è molto accentuata nelle zone di confine dove l'influenza culturale dei paesi vicini incide vistosamente sulla gastronomia del territorio che spesso - come è il caso della Valle d'Aosta - si può dividere al suo interno in varie zone con caratteristiche proprie dovute alla diversa altitudine del terreno e alla conseguente diversa produzione agricola e tradizione alimentare. La possente piramide del Cervino, il massiccio del Monte Rosa e il gruppo del Monte Bianco fanno sì che la maggior parte del territorio valdostano sia ad una altitudine molto elevata, di gran lunga superiore a quella di tutte le altre regioni italiane, con forti conseguenze sul clima, sulla vegetazione, sul paesaggio, sulla vita e l'attività degli uomini così come le tradizioni culturali e culinarie sono segnate dalla realtà geografica (la catena alpina a lungo inaccessibile ha isolato per secoli la Valle, determinando lo sviluppo di una cucina basata quasi esclusivamente su prodotti locali) e dalle vicende storiche del popolo della Valle d'Aosta che si è trovato a contatto sia con le popolazioni elvetiche che con quelle francesi.
La Valle d'Aosta è una delle regioni più particolari della nostra penisola.
E' questa una terra di pascoli , verdi foreste e dalle valli bianche che rendono il territorio affascinante e magico. Dominata nell'antichità dal popolo dei Salassi, venne successivamente colonizzata dai Romani che costruirono strade, ponti ed acquedotti e fondarono la città di Aosta. Le caratteristiche della tradizione gastronomica valligiana sono determinate dall' aspetto morfologico di questa terra. La splendida e per lungo tempo inaccessibile catena alpina ha isolato per secoli la Valle, provocando lo sviluppo di una cucina basata quasi esclusivamente su prodotti locali.
La gastronomia di questo territorio è molto legata alle varie vicende storiche e i prodotti della cucina valdostana sono tanti e molto vari, gustosissimi conservati nei secoli con leggere modifiche dovute al miglioramento delle condizioni socioeconomiche; cibi caratterizzati da antichi prodotti locali fra cui campeggiano la fontina, il lardo, il sanato, le castagne e la polenta che tuttoggi viene preparata "grassa", ovvero arricchita con burro e formaggio.
CUCINA VALLE D'AOSTA
Gli antichi menù che si possono reperire negli archivi appartenevano alla gastronomia dei ceti più alti e non rispecchiano quindi le abitudini del popolo legate agli ortaggi, al cavolo soprattutto, al pane di segale, alle castagne, e, in misura molto contenuta, al latte, alla caccia e agli animali da cortile di cui i meno abbienti si riservavano le parti non commerciabili, così come fra essi molto diffuso era il Seras, ultimo prodotto della lunga lavorazione del latte.
La cucina dei ricchi è sempre stata invero molto varia, avendo accolto elementi di popoli diversi. Da quelli dei Romani a quelli dei Francesi e degli Svizzeri (basti pensare alla famosa FONDUTA, un primo piatto a base di fontina e uova) molte sono le influenze sulla cucina valdostana legate alla storia di questa terra che si intrecciano con la grande novità rappresentata dall'introduzione delle spezie dovuta ai traffici commerciali che fiorirono durante il Medio Evo.
La novità rappresentata dalle spezie fu importante per cambiare il gusto dei cibi e conferire ad essi una gamma di sapori che sostituirono in qualche modo l'apporto del sale che all'epoca era molto caro e non facilmente reperibile. Spezie e sale, due elementi allora indispensabili per la conservazione dei cibi.
A proposito di sale, nei secoli passati esso costituiva uno dei grandi problemi della Valle d'Aosta. Erano poche e avare le zone da cui si poteva ricavare il sale, dunque era un prodotto che i valdostani dovevano acquistare. Ma la tassa sul sale introdotta dopo la seconda metà del 1500 dai Savoia, costrinse gli abitanti della Valle d'Aosta a prendere la via dei colli alpini per potersene procurare in Svizzera, soprattutto nella zona del Lago di Ginevra. Tale tassa costrinse i valdostani al contrabbando: per avere il sale portavano in Svizzera burro e formaggio. Il baratto continuò fino a tempi recenti, ma tabacco e cioccolata presero il posto del sale.
Le legioni romane che si istallarono nel territorio della Valle d'Aosta portarono le loro tradizioni alimentari legate prevalentemente alla caccia e all'uso dell'orzo nelle zuppe; all'epoca romana risale inoltre l'introduzione della coltivazione della vite e della viticoltura, visto che dall'antichità i Romani conoscevano il vino, "nettare degli dei". E così nei castelli medioevali il vino era abbondante e accompagnava piatti la cui usanza proveniva da Oltralpe, come le trote di torrente che venivano fatte friggere nel burro con l'aggiunta di erbe aromatiche oppure erano consumate in carpione, conservate cioè per mesi sotto aceto in appositi recipienti; oppure come le lumache che, fatte spurgare, erano cucinate in tegame con burro e erbe, oppure i funghi che venivano cotti nella brace e giudicati commestibili grazie ad altre culture, visto che il popolo della Valle ben si guardava dal consumarli ignorandoli forse per arcane paure legate alle specie velenose.
Le zuppe - che il popolo preparava con pane di segale e verdure di stagione - sulle tavole dei signori erano arricchite con brodo di carne, formaggio e burro; conservate da epoca romana fino ai giorni nostri, le più famose sono la "seuppa y plat" e la "seuppa vapeullenèntse": quest'ultima ha origine dal luogo di probabile provenienza della ricetta, cioè la Valpelline. Ha come ingredienti il brodo di carne in cui cuociono pane bianco e fontina, con l'aggiunta di burro fuso e cavolo verza. Pare proprio che sia il cavolo che la distingue dalla "seuppa y plat" che non lo prevede; ma di zuppe ce n'erano una grande varietà legate ai diversi ortaggi e pertanto alle diverse stagioni; alcune inoltre erano una sorta di pasticcio di cereali, segale, avena e orzo.
Avendo da sempre vissuto dei propri prodotti il popolo valdostano ha imparato a consumare gli ortaggi e da questi ricavare oltre alle zuppe varie minestre fra le quali quelle a base di cavolo sono le più frequenti, dato che esso ben si presta alla coltivazione anche in terreni scoscesi e si conserva a lungo.
Dai tempi più remoti era in uso il pane che si distingueva in pane bianco e pane nero (di segale o di frumento, un pane che oggi si definirebbe integrale). Il pane bianco era una vera leccornia, lo si mangiava solo nei banchetti in occasione delle feste e veniva consumato nell'immediato. Il pane nero invece veniva preparato una volta all'anno coinvolgendo tutta la comunità: le donne impastavano e gli uomini si occupavano del forno a legna del paese. La cottura avveniva con scrupolosa attenzione e quando il pane usciva dal forno si faceva una gran festa. Una volta essiccato in un luogo appropriato, diventava molto duro e per tagliarlo si utilizzava lo "copapàn", una specie di coltello di ferro che si trova ancora oggi nei negozi di artigianato. Questo pane veniva poi ammorbidito mettendolo per pochi minuti a bagno nelle minestre, nel latte, o, in mancanza d'altro, nell'acqua.
Un pane caratteristico è la "millasse", fatto senza lievito; ricorda una crêpe secca e si mangia tradizionalmente con il "salignum", un formaggio bianco, fresco, mescolato a pepe, peperoncino, cumino e sale.
Il pane si faceva anche con la farina di castagne e veniva chiamato "pane dei poveri", riproposto nei secoli nei periodi di carestia e anche durante l'ultima guerra mondiale. Le castagne sono sempre state molto usate nella cucina valdostana, vista la loro abbondanza e il loro costo irrisorio; nei periodi di magra venivano utilizzate perfino negli insaccati oppure venivano seccate per essere conservate e usate nel tempo, per esempio, per fare una zuppa.
La scoperta dell'America (1492) portò in Europa nel corso del 1500 il mais e la patata. Ma in Val d'Aosta il "pasticcio di mais", cioè la polenta fu introdotta nell'alimentazione solo nel 1700, mentre la patata fu utilizzata soltanto nel secolo successivo perché ostacolata dal seppur illuminato dottor Grappein di Cogne che aveva dato luogo a una società di mutuo soccorso basata sulle ricchezze delle miniere; egli ne sconsigliava l'uso perché i tuberi - affermava - avevano la terribile proprietà di assorbire dalla terra qualsiasi veleno e di "contagiare" così l'uomo. Ma alla fine la patata vinse la sua battaglia contro queste credenze e venne bene accolta dai valdostani visto che aveva il pregio di essere cotta in diversi modi e di sostituire il pane.
La carne è stata per molto tempo, certamente fino al 1700 un alimento raro che si consumava soprattutto in inverno, quando le condizioni climatiche ne favorivano la conservazione; si trattava per lo più di animali giunti alla fine del ciclo produttivo. Il tempo della macelleria era ed è alla vigilia delle feste natalizie. Si macellano il maiale e la vacca per ricavare salami, salsicce, lardo, prosciutto e "boudin", particolari sanguinacci di sangue di maiale, lardo e patate che possono essere sostituite con la barbabietola rossa. I giorni della macelleria sono giorni di festa in cui si prepara anche il bollito sotto sale e il lardo di Arnad aromatizzato con rosmarino, alloro, aglio e sale conservato in appositi recipienti.
E subito dopo la macellazione ancora oggi nelle campagne le tavole si imbandiscono con prodotti impossibili da conservare, come ad esempio i "pasticci" fatti con le interiora "nobili" del maiale. Ricordiamo inoltre il "teuteun", carne secca di mammella di vacca messa sotto sale e aromatizzata alle erbe.
Terra di allevamento del bestiame e di produzione di latte, la Valle d'Aosta dal Medioevo è famosa per i formaggi, citati negli archivi feudali del Tredicesimo secolo e successivamente menzionati nella Summa Lacticinorum dal 1477. Fra tutti il più famoso è certamente la fontina la cui denominazione compare nel 1717 nel registro delle spese dell'Ospizio del Gran San Bernardo. È il formaggio base della famosissima fonduta, un primo piatto che si prepara con fontina a cui si aggiungono tuorli d'uovo, farina e latte; un composto che si versa su fette di pane tostato (sia bianco che nero).
Per tradizione il prosciutto crudo è stato sempre preparato nella vallata del Gran San Bernardo, soprattutto a Bosses, a ridosso del confine con la Svizzera, a Etroubles e a Saint-Oyen tra i boschi di abeti, ma oggi è famoso anche quello di Saint-Marcel. Ricordiamo anche quello prodotto nella valle del Lys dove fin dall'alto Medioevo si insediò il popolo tedesco Walser valicando i passi alpini in cerca di nuove terre. Ancora oggi la valle del Lys è l'unica terra dove la popolazione ha conservato tradizioni e lingua di origine germanica: un popolo industrioso, i Walser infatti sono maestri di pastorizia, di commercio, di turismo e di architettura, stanziati nelle vallate intorno al Monte Rosa, al Cervino svizzero e nel Voralberg austriaco. La loro comunità in Valle d'Aosta è divisa fra tre comuni sul torrente Lys: Issime e le due Gressoney, Saint-Jean e La Trinité, mentre gli altri quattro comuni della vallata che sale da Pont-Saint-Martin (dove è ancora viva la leggenda di San Martino che gabbò il diavolo offrendogli l'anima del primo essere vivente che fosse transitato in cambio della sua scomparsa da quel luogo...passò un cane...; e dove ogni anno alla fine di febbraio si rinnova la tradizione del falò del fantoccio del diavolo appeso al centro dell'arcata del ponte) fino al Monte Rosa hanno una parlata franco-provenzale come il resto della Valle d'Aosta.
In questa valle il prosciutto veniva affumicato appeso a un chiodo della trave sopra il focolare; particolare anche la selvaggina preparata in "civet", cotta con il vino rosso aromatizzato da molte spezie e erbe.
Nell'economia cortense della campagna valdostana in cui si consumava e in molte parti ancora si consuma solo ciò che si produce, anche la noce è un prezioso frutto che i valdostani hanno saputo utilizzare al meglio, soprattutto per produrre l'olio di noci che ancora oggi è un condimento ricercato e gustoso.
Sempre in questa logica, per dolcificare si ricorreva al miele, essendo l'apicoltura diffusa fin dal Medioevo; il miele fa dunque parte della grande tradizione valdostana. Colato sulle castagne bollite formava il più semplice dei dessert; ma il miele serviva per molte preparazioni fra le quali ricordiamo la "resen", gelatina derivata da pere selvatiche, immangiabili crude perché la polpa era quasi completamente asciutta. Per Natale erano e presso qualche fornaio sono ancora tradizionali i "flautse", grossi biscotti a forma di animali che una volta dorati un tempo venivano cosparsi di miele e oggi di zucchero.
I rigori invernali richiedevano anche una tradizionale bevanda, il vin brulé alla gressonara: un vino cotto con dadini di pane nero, burro, zucchero, cannella, chiodi di garofano e noce moscata e passato al colino; oppure il genepì, caratteristico liquore prodotto da una pianticella denominata "Artemisia spicata". L'erba viene fatta essiccare con altri aromi, infusa nell'alcool e lasciata invecchiare per almeno un anno e mezzo.
Una bevanda che ha anche potere digestivo è il caffè alla valdostana, una miscela bollente composta da caffè, grappa, vino rosso (o cognac all'arancia), buccia di limone e spezie. Viene servita nella grolla detta anche coppa dell'amicizia, uno speciale recipiente di legno scolpito munito di beccucci, dai quali i valdostani bevono tutti assieme nel rispetto della tradizione secondo la quale "chi beve solo si strozza".
Ma i prodotti della cucina valdostana sono tanti e molto vari, gustosissimi conservati nei secoli con leggere modifiche dovute al miglioramento delle condizioni socioeconomiche; cibi caratterizzati da antichi prodotti locali fra cui campeggiano la fontina, il lardo, il sanato, le castagne e la polenta che tuttoggi viene preparata "grassa", ovvero arricchita con burro e formaggio.
CUCINA TIPICA VALLE D'AOSTA PRODOTTI TIPICI DELLA VALDOSTANA
Terra di valli, pascoli e foreste dominata da picchi perennemente innevati. Questo è il paesaggio della Valle d'Aosta una delle regioni più particolari ed affascinanti della penisola, definita da un antico proverbio come "un paradiso per gli uomini, un purgatorio per le donne ed un inferno per i muli". Dominata nell'antichità dal popolo dei Salassi, venne successivamente colonizzata dai Romani che costruirono strade, ponti ed acquedotti e fondarono la città di Aosta. Oggi la Valle presenta ai suoi numerosi turisti due volti: quello della natura incontaminata e quello della progressiva urbanizzazione di alcune sue zone, nel tentativo, sempre più difficile da sostenere ma fino ad ora riuscito, di coniugare felicemente il progresso con la salvaguardia dell'ambiente.
La più piccola regione italiana, non per importanza ma solo per estensione, è la Valle d'Aosta, attraversata dalla Dora Baltea che bagna la valle centrale, circondata dalle vette più famose e più alte delle Alpi:
Laghetto Blu ed il Cervino
il Monte Bianco, il Monte Rosa, il Cervino e il massiccio del Gran Paradiso, diventato Parco Nazionale nel 1922 per la ricchezza della fauna e per la maestosità dei suoi paesaggi.
Oltre che per il fascino del suo territorio, la Vallèe è nota anche per le opere d'arte, i suoi castelli e fortificazioni militari, quasi tutti aperti al pubblico e meritevoli di una visita. Ma dopo tanti giri, salite e discese, una sosta per ritemprarsi lo spirito nonché recuperare le forze perdute ci vuole senz'altro.
La cucina valdostana occupa un posto non secondario nella cultura regionale, si tratta soprattutto di una cucina rustica e semplice, nella quale troviamo principalmente zuppe, selvaggina e formaggi.
Le "soupe" hanno origini molto antiche, quando ancora i contadini facevano i conti con le condizioni ambientali e climatiche che dovevano sopportare per diversi mesi all'anno, molto spesso sono preparate con pane di segale affettato, formaggio e cavolo verza, come la soupe à la Valpellinentze, oppure la soupe à la Cogneintze, con il riso al posto della verdura, o ancora con latte e castagne.
La Fontina
Naturalmente essendo in montagna non può mancare la classica polenta concia, preparata con il tradizionale formaggio valdostano: la Fontina, il cui nome ha origine dall'alpeggio di Font; altri formaggi tipici della valle, ma poco conosciuti al di fuori della regione, sono il Reblèque e il Salignòn, prodotti per la maggior parte ad uso famigliare, ma reperibili nelle varie malghe.
Tra i piatti tradizionali riconducibili immediatamente alla Valle d'Aosta, ci sono la fonduta, con la quale si preparano un'infinità di ricette e la cotoletta alla valdostana, una fettina di carne impanata e ricoperta di fontina.
Un piatto caratteristico a base di carne è la Carbonade, carne bovina cotta con tanta cipolla tritata e abbondante vino rosso. Per quanto riguarda i salumi spicca la Motzetta o mocetta, un tempo preparata con la coscia di stambecco o camoscio, mentre oggi viene utilizzata la polpa di capra, tenuta in salamoia con l'aggiunta di varie spezie e poi essiccata. Da non dimenticare anche il famoso lardo di Arnad o il prosciutto di Bosses.
Come accompagnamento si possono gustare i vini prodotti nella valle, non molti, ma quasi tutti con il riconoscimento DOC, tra i più pregiati ci sono il Donnas, il Chambave, il Nus e il Müller Thurgau. Toccasana nelle fredde sere d'inverno davanti al focolare gustando le tegole di Aosta(sottili biscotti di pasta di mandorle) o i torcetti di Saint Vincent, è la grolla dell'amicizia, servita in una apposita coppa di legno di pero o melo, con più beccucci per i commensali; la si prepara con vino rosso, caffè bollente, grappa, zucchero, scorza di limone e spezie.
La fontina
La formula di preparazione della fontina è notevolmente antica. La sua prima documentazione ufficiale risale al 1480, quando la sua forma viene ritratta in un affresco del castello di Issogne assieme ad altri prodotti tipici della valle. Il nome poi si diffuse a partire dal 1717, da quando cioé la parola 'fontina' venne annotata su un registro dell'ospizio del Gran San Bernardo. Il termine potrebbe derivare da Fontin, un alpeggio nel comune di Quart, o dal verbo fondere, che ben si adatterebbe con la regola di preparazione di questo squisito prodotto. Troviamo la fontina in tutti i principali piatti della tradizione valligiana: la fonduta, le zuppe, gli gnocchi e le costolette alla valdostana. Altri alimenti base della cucina della valle sono l'immancabile polenta; il pane scuro, di farina di frumento e segale, dalla eccezionale durata, usato soprattutto per essere ammorbidito da brodi, latte od intingoli; la castagna, con la quale anticamente si faceva anche il pane; il lardo di Arnad, servito aromatizzato con il rosmarino su pane nero o polenta abbrustolita; le carni salate ed essiccate, come i cosci del camoscio ( la "mocetta") e dello stambecco. Diffusi anche gli insaccati, specialmente di maiale, come le saucisses, salsiccette di porco e manzo ed il boudin , una specie di budino nero composto di sangue di maiale, patate, lardo e spezie.
Il menù
Nominare i piatti della cucina valdostana significa intraprendere un viaggio attraverso la storia stessa di quella che viene definita abitualmente la cucina 'povera' di montagna. Il nostro veloce excursus sulle prelibatezze della tavola valligiana non può che partire dalla zuppa valpellinentze, a base di cavolo, verza, fontina e sostenuta da pane raffermo di segale. Piatto robusto e dal sapore sorprendente, viene variato nel periodo invernale con l'ancora più sostanziosa minestra di castagne, dal gusto assolutamente inconfondibile. Altre prime portate tipiche sono il risotto alla valdostana, dove la fontina si sposa alla perfezione con la consistenza del riso e gli gnocchi alla bava, con la fontina ancora protagonista, questa volta tagliata a fettine sugli gnocchi. La fontina trova la sua apoteosi nella fonduta, obbligatoria da assaggiare per chi si trova a trascorrere un periodo di vacanze o anche semplicemente a transitare per la Valle d'Aosta.
La polenta rimane tutt'oggi un piatto insostituibile nella dieta dei valligiani. Curioso pensare che solo dopo la metà del Settecento si iniziò a coltivare il mais nella zona: nei decenni successivi la polenta di granturco, condita con burro, fontina, carne ed intingoli, si impose come il nutrimento più importante, spesso l'unico per i pastori che rimanevano nelle baite per quasi tutto l'inverno. Nel Gressoney sopravvive tutt'oggi l'uso della cosiddetta polenta grassa, ovvero arricchita con burro e formaggio. Tra i piatti di mezzo il più diffuso è la carbonade, semplice ed essenziale ma di notevole personalità: si tratta del tipico ragù di carne salata addolcita nel corso della cottura da una notevole dose di cipolla trita e da abbondante vino rosso. Il nome particolare, che richiama il carbone, deriva dall'intingolo che si presenta effettivamente di colore quasi nero. Ricordiamo anche il grostl, sorta di spezzatino arricchito con erba cipollina e patate, ed il reblèque, formaggio morbido che si consuma con cannella e zucchero. Impossibile prescindere dalle costolette alla valdostana, fette di carré di vitello imbottite con fontina e tartufo bianco e cotte in abbondante burro. Da non dimenticare nemmeno il coniglio alla valligiana e la cotoletta di vitello alla valdostana, passata nell'uovo e nel pane grattugiato, fritta nel burro e successivamente infornata sotto una generosa copertura di fontina. Per andare su pietanze più forti, merita più di un assaggio l'abbondante cacciagione, spesso proposta in civet; come la carne di capriolo e di camoscio marinata a pezzi nel vino in compagnia di verdure e vivacizzata durante la cottura con uno spruzzo di grappa.
I dolci
Di grande effetto e sostanza i dolci ed i desserts della tradizione valdostana. Ricordiamo il blanc manger, a base di panna, zucchero e colla di pesce, ed il famoso mont blanc, deliziosa montagnola di castagne lessate unite a zucchero, cacao, latte e rum e ricoperte di panna montata. Tra le leccornie di fine pasto anche le pere martin sech al forno, elaborate con zucchero, cannella, noce moscata, chiodi di garofano e vino rosso. E poi ancora dolci a base di mele e pangrattato, mirtilli e formaggio fresco. Innumerevoli i tipi di crostate.
I vini
La Valle d'Aosta ha una tradizione vinicola piuttosto antica, anche se inevitabilmente le quantità prodotte non possono competere con quelle di altre regioni italiane. Le uve più diffuse nella regione sono Nebbiolo, Blanc de Morgex, Gamay, Petit Rouge. Prevalgono i rossi, ma si producono anche dei bianchi secchi dal bouquet intenso. Il "Valle d'Aosta" è segnalato come vino Doc. Da ricordare la tradizione tipicamente valligiana della 'grolla', uno speciale recipiente di legno scolpito, munito di beccucci che funge da bottiglia o da bicchiere. Oltre che per il vino viene usato a fine pasto per una miscela bollente di caffè, grappa, vino rosso, buccia di limone e spezie. Ai beccucci della grolla si beve tutti insieme, nel rispetto della tradizione valdostana secondo la quale 'chi beve solo si strozza'.
Valle d'Aosta: vitigni di montagna
Si pensa che già gli antichi romani apprezzassero i vini della Valle d’Aosta, anche se la prima traccia documentata della coltivazione della vite in questa regione è un decreto del vescovo di Ivrea risalente al 1272 con cui si obbligavano i contadini della Val di Cly ad avere la massima cura dei vigneti esistenti e ad introdurne di nuovi. Il terreno prevalentemente montuoso della Valle d’Aosta lascia poco spazio alla viticoltura: non a caso la regione è all’ultimo posto in Italia per quantità di vino prodotto.
I vignaioli locali con un lavoro paziente e secolare sono però riusciti a strappare alla montagna degli appezzamenti dove coltivano la vite con successo. Circondati da muretti di pietra a secco, che oltre a trattenere il terreno hanno anche la funzione di catturare i raggi del sole, i vigneti valdostani incuneati nello splendido paesaggio delle Alpi si spingono fino ad altezze quasi inverosimili. L’esempio più eclatante sono i vigneti che danno origine alla D.O.C. Blanc de Morgex et de la Salle, situati a piedi del Monte Bianco tra i paesini di La Salle e Morgex ad altezze che arrivano a sfiorare i 1300 metri. Questo raro vino bianco si ottiene dal vitigno autoctono Blanc de Morgex, l’unico vitigno italiano ad essere sopravvissuto alla fillossera, grazie al suo naturale isolamento.
STORIA DELLA CUCINA VALLE D'AOSTA
Gastronomia e storia
Quando si parla della cucina valdonasta è impossibile non pensare alle vicende storiche che hanno influito sia sulla gastronomia e sia sulla vita della gente.
La tradizione gastronomica di questa regione è legata agli ortaggi, al cavolo soprattutto, al pane di segale, alle castagne, e, in misura molto contenuta, al latte, alla caccia e agli animali da cortile di cui i meno abbienti si riservavano le parti non commerciabili.
La cucina dei benestanti era molto diversa;più varia e pregiata,aveva raccolto i suoi alimenti proncipali dalla cucina Francese e Svizzera.
I valdostani in passato,dovettero spesso fare a meno del sale poichè all'epoca era molto caro e non facilmente reperibile. Qui Erano poche e avare le zone da cui si poteva ricavare il sale, dunque era un prodotto che i valdostani dovevano acquistare. Ma la tassa sul sale introdotta dopo la seconda metà del 1500 dai Savoia, costrinse gli abitanti della Valle d'Aosta a prendere la via dei colli alpini per potersene procurare in Svizzera, soprattutto nella zona del Lago di Ginevra. Tale tassa costrinse i valdostani al contrabbando: per avere il sale portavano in Svizzera burro e formaggio. Il baratto continuò fino a tempi recenti, ma tabacco e cioccolata presero il posto del sale.
Mentre i contadini preparavano le loro zuppe con pane di segale e verdure di stagione,i signori amavano gustare le zuppe arricchite con brodo di carne, formaggio e burro; conservate da epoca romana fino ai giorni nostri, le più famose sono la "seuppa y plat" e la "seuppa vapeullenèntse": quest'ultima ha origine dal luogo di probabile provenienza della ricetta, cioè la Valpelline. Anche il pane non era lo stesso per i contadini e per i signori.Mentre i primi mangiavano Il pane nero i secondi potevano degustare il pane bianco fresco.
Il pane nero veniva preparato una volta all'anno coinvolgendo tutta la famiglia;mentre le donne impastavano, gli uomini si occupavano del forno a legna del paese.
La cottura era attenta e minuziosa e quando il pane usciva dal forno si faceva una gran festa.
Una volta essiccato, diventava molto duro e per tagliarlo si utilizzava lo "copapàn", una specie di coltello di ferro che si trova ancora oggi nei negozi di artigianato. Questo pane veniva poi ammorbidito mettendolo per pochi minuti a bagno nelle minestre, nel latte, o, in mancanza d'altro, nell'acqua.
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