INTRODUZIONE CUCINA MARCHIGIANA
Le Marche vantano un'antica tradizione gastronomica fatta di ingredienti semplici e genuini, di sapori unici, di tempi peculiari. Una cucina distante dalle esigenze metropolitane, che porta in tavola pasta sfoglia con le erbe selvatiche, formaggi e ricotte fresche, funghi, tartufi, pesce freschissimo, per fritture e intingoli, e, soprattutto, carni di prima qualità: volatili da cortile, conigli, minuta cacciagione (nelle Marche la selvaggina è un culto, e si caccia ancora per necessità). Questo volume propone tutte le gustosissime ricette della regione, descritte in modo chiaro e semplice, permettendoci così di apprezzare i sapori sani della cucina di un tempo: dalle crescie alle olive ripiene, specialità di Ascoli, dal brodetto all'anconitana al risotto con le quaglie, dal pancettone alla faraona al coccio, dalle crocchette di pannocchie ai peperoni nelle vinacce. E per finire i dolci, vere leccornie per la gioia dei buongustai più esigenti: le arance al croccante, il frostengo, tipico di Camerino, i funghetti di Offida, la torta di ricotta.
E' tra Macerata e Ascoli Piceno il luogo di origine della "porchetta", tipica della cucina romana ma che è stata inventata qui, nelle Marche.
L'uso del maiale è diffusissimo, soprattutto per la produzione di salumi di ogni tipo. In tema di arrosti e di spiedi, inoltre, questa regione ha una notevole specializzazione. E' diffusissimo l'uso del "pilotto", un pezzo di lardo avvolto in carta gialla da macellaio che viene utilizzato bruciando la carta che lo contiene e facendo colare il grasso fuso sulle carni in cottura sullo spiedo.
Tra gli spiedi è famoso anche l'arrosto "alla ghiotta" (o "leccarda"), che è un recipiente che viene posto sotto allo spiedo per raccogliere le gocce di unto che piovono durante la cottura; in questo recipiente vengono messi del vino rosso, dell'aceto, delle fette di limone, delle foglie di salvia e delle olive nere. Il grasso bollente che vi piove fa sprigionare da queste sostanze un aroma che resta impregnato nelle carni. Nelle Marche il pesce impera. S. Benedetto del Tronto è uno dei maggiori centri italiani della pesca. Tra i piatti di mare comanda il "brodetto", una zuppa che non ha nulla da invidiare alle migliori zuppe di pesce italiane. Ne esistono di due tipi: quello di Ancona e quello di Porto Recanati. Nel primo sono preferiti i pesci di scoglio insieme a triglie e calamari; il secondo è essenzialmente basato sulle seppie, insieme al palombo, al merluzzo e al cefalo. La caratteristica è la presenza dello zafferano selvatico che da colore e un penetrante aroma. Il brodetto è il capolavoro della cucina marchigiana.
CUCINA MARCHIGIANA
Nelle Marche si congiungono gli influssi delle tradizioni gastronomiche provenienti dal nord e dal sud Italia. I gusti delle cucine romagnole ed umbre, laziali ed abruzzesi riverberano in maniera chiara nel ricettario marchigiano. Due sono gli aspetti della cucina locale, corrispondenti alle caratteristiche geografiche della regione: quello dell'entroterra e quello marittimo. L'aspetto campagnolo della cucina marchigiana è dominato dal tartufo (presente in questa regione in qualità molto pregiata), dai funghi e dall'uso delle olive. I piatti forti sono a base di carne, tra le quali spicca la saporitissima porchetta. Sulla costa invece si può gustare una grande quantità di prodotti ittici. Piatto simbolo è il brodetto di mare, del quale ogni città possiede una propria particolare versione. Abbondano crostacei, frutti di mare e pesce azzurro insaporito da erbe aromatiche ed olio d'oliva. Le olive all'ascolana sono probabilmente la pietanza più rappresentativa della cucina marchigiana, che possiede un vero e proprio gusto nel campo dei cibi imbottiti. Le gigantesche olive di questa zona hanno una fama vecchia di secoli. Le mangiavano già gli antichi romani e ne fecero razzia anche i Cartaginesi, quando arrivarono da queste parti dopo aver valicato le Alpi. Nella ricetta ascolana il loro sapore inconfondibile è esaltato dall'imbottitura. Una volta snocciolate vengono farcite con un ripieno di trito di carne, uova, formaggio parmigiano ed aromi vari: vengono poi passate nell'uovo sbattuto e nel pane grattugiato, poi si friggono in olio. Sono ottime mangiate calde.
CUCINA TIPICA MARCHIGIANA PRODOTTI TIPICI DELLE MARCHE
Cucina Marchigiana e Ricette Marchigiane
Le Marche rappresentano un punto di incontro tra le gastronomie del nord e del sud Italia.Immersa nel verde, al centro dell'Italia, questa regione è da sempre terra di antiche tradizioni e grande ospitalità.
Il paesaggio è caratterizzato da tre elementi: il mare con una costa attrezzata e ricca di centri eleganti,la montagna ricca di prati e faggete e la campagna con oltre 100.00 case coloniche dove in passato risiedeva la maggior parte della popolazione.
.Domina, in particolare sull'Appennino umbro-marchigiano, una cucina fatta di sapori forti, decisi in cui domina la carne, tra cui spicca la saporitissima porchetta che viene preparata ancora secondo antiche tradizioni e che accompagna moltissimi piatti. Sulla costa invece si può gustare una grande quantità di prodotti ittici.
Piatto simbolo è il brodetto di mare,che ogni città marchigiana personalizza con l'aggiunta di qualche alimento chew kra a rendere il brodetto unico.
Abbondano crostacei, frutti di mare e pesce azzurro insaporito da erbe aromatiche ed olio d'oliva.Tipiche delle marche sono le grosse e succose olive che costituiscono uno dei più famosi piatti della regione: Le olive all'ascolana Le gigantesche olive di questa zona hanno una fama vecchia di secoli. Le mangiavano già gli antichi romani e ne fecero razzia anche i Cartaginesi, quando arrivarono da queste parti dopo aver valicato le Alpi.
La gastronomia del mare
La costa marchigiana è dotata di spiagge prevalentemente sabbiose sulle quali si affacciano le verdi colline creando un paesaggio suggestivo. La gastronomia è quella del mare…costituita da pesce freschissimo: crostacei, pesce azzurro e frutti di mare sono presenti in tutta la cucina del luogo. Il pranzo di mare sulla costa marchigiana non può che iniziare dal tipicissimo 'brodetto' del quale si conoscono due versioni principali. Quella in uso ad Ancona prevede fino a tredici qualità di pesce come : lo scorfano, le gallinelle, le anguille, le canocchie e le triglie. Il pesce viene cotto su una base di cipolla, pomodoro, prezzemolo, pepe, olio ed aceto. L'altra ricetta,adottata verso Porto Recanati, vuole che il pesce venga rosolato e poi cotto in un sugo caratterizzato dalla presenza dello zafferano. Molto diffuso anche lo stoccafisso, che viene preparato in umido, in tegame con patate e in 'potacchio', ovvero brasato con pomodoro, acciughe, aglio, rosmarino, prezzemolo e peperoncino. A San Benedetto con la cottura in 'potacchio' preparano anche un'ottima coda di rospo.
Il pranzo di mare sulla costa marchigiana non può che iniziare dal 'brodetto' del quale si conoscono due versioni principali. Quella in uso ad Ancona prevede fino a tredici qualità di pesce: tra le altre lo scorfano, le gallinelle, le anguille, le canocchie e le triglie. Il pesce viene cotto su una base di cipolla, pomodoro, prezzemolo, pepe, olio ed aceto. L'altra ricetta , in voga verso Porto Recanati, vuole che il pesce venga rosolato e poi cotto in un sugo caratterizzato dalla presenza dello zafferano. Molto diffuso anche lo stoccafisso, che viene preparato in umido, in tegame con patate e in 'potacchio', ovvero brasato con pomodoro, acciughe, aglio, rosmarino, prezzemolo e peperoncino. A San Benedetto con la cottura in 'potacchio' preparano anche un'ottima coda di rospo. Proseguiamo con le canocchie all'olio e limone; le sarde in teglia, insaporite con acciuga, scalogno, pomodoro, pangrattato ed una spruzzata di vino bianco; l'orata alla salsa d'acciuga ed all'uovo; infine le triglie al prosciutto, con la triglia che viene avvolta da una fetta di prosciutto e cotta in forno con aglio, olio e salvia. Di grande gusto anche le seppie ripiene di formaggio, uova, pan grattato e pepe. Tra i primi, rinomatissimi i passatelli al brodo di pesce ed i ravioli ai filetti di sogliola e ricoperti di parmigiano grattugiato.
La gastronomia della collina e del mare
La regione costiera delle Marche si estende lungo il Mare Adriatico da Pesaro a San Benedetto del Tronto: è una zona bagnata da un mare molto pescoso che fornisce acciughe, gamberi, moscardini, astici, aragoste, calamari, polpi, vongole, rombi, scorfani. A confermare la vocazione ittica della regione c'è il «brodetto», che vuole ben tredici varietà di pesci; il promontorio del Conero segna un confine immaginario di gusto: a nord lo si prepara con il pomodoro, a sud si usa lo zafferano. Il «brodetto» è infatti la zuppa dell'Adriatico: una mescolanza di pesci, interi e a pezzi, in un intingolo pieno di aromi. Ogni città e cittadina presenta il "suo" «brodetto» in una specie di gara senza vinti né vincitori, ma molto appassionata. Due sono le tecniche fondamentali: quella in uso ad Ancona e su tutto il tratto costiero da Pesaro fino al Conero e quella invece che si trova da Porto Recanati fino al confine con l'Abruzzo. La prima si basa su un intingolo di aglio, olio, cipolla, pomodoro, prezzemolo, pepe, aceto, nel quale si mettono a cuocere da nove a tredici qualità di pesce. Anzi, ad Ancona il numero di rigore è proprio il tredici; chi è superstizioso, può arrivare a diciotto: roscoli, sgombri, passeri, rombi, scampi, cefali, cicale, scorpene, spigolette, merluzzetti, pannocchie, calamari, seppie, sogliole, palombo, pesce cappone, anguille... La seconda ricetta-base richiede che il pesce venga rosolato dopo essere stato infarinato e fatto poi cuocere in un intingolo il cui ingrediente dominante (non solo per il colore acceso) è lo zafferano selvatico.
La preparazione dei pesci è molto simile a quella in uso nella confinante Romagna, arricchita dai sapori delle erbe aromatiche di cui questa terra è particolarmente ricca e da una particolare cura con cui ogni piatto è cucinato nell'intento di rendere gradevoli anche gli alimenti più modesti. Fra questi piatti ricordiamo le «sarde imbottite» che prevedono i seguenti ingredienti: ottocento grammi di sarde, un mazzetto di basilico, uno spicchio d'aglio, cento grammi di parmigiano grattugiato, centocinquanta grammi di pangrattato, due uova, due limoni, olio e sale e che, secondo un'antica ricetta, si preparano nel seguente modo: «si puliscono le sarde raschiandole con un coltellino, poi si aprono a libro, si privano della lisca, si lavano, si scolano e si mettono ad asciugare su un canovaccio pulito. Si tritano finemente il basilico e l'aglio e si pongono in una terrina, si uniscono il parmigiano e cinquanta grammi di pangrattato, si rimestano e si aggiunge l'olio necessario ad ottenere un impasto denso ed omogeneo. Con questo composto si riempiono le sarde, rilegandole poi bene e premendole. Intanto si sbattono le uova con un po' di sale, vi si immergono le sarde e quindi si passano nel pangrattato. In una padella di ferro, si scalda l'olio necessario per friggere e si passano le sarde dorandole da entrambe le parti. Si scolano bene e si servono calde».
Squisite sono le sardine fritte servite con salsa di acciuga che si ottiene facendo cuocere le acciughe in poco olio insaporito con uno spicchio d'aglio con l'aggiunta di vino bianco e prezzemolo tritato. Tipici sono i «garagoli», molluschi che vengono cucinati «in porchetta» perché insaporiti con tutti gli odori riservati appunto alla porchetta: alla base c'è l'aromatizzazione con un trito abbondante di aglio, pancetta, finocchiella selvatica e la presenza del vino bianco che ammorbidisce rinvigorendo il sapore.
Un alimento su cui vale la pena di soffermarsi è lo stoccafisso. Nelle Marche lo si prepara almeno in tre modi: in umido, in tegame con strati di patate e in «potacchio», con aglio, rosmarino, prezzemolo, acciughe, peperoncino, pomodoro. In questa tipica versione è essenziale il dosaggio scrupoloso degli aromi che trasformano il pesce dei poveri in una leccornia.
Per quanto riguarda i primi piatti nel Pesarese troviamo una particolare versione "di magro", dei ravioli: insoliti non tanto nel ripieno (ricotta, uova, prezzemolo, noce moscata) quanto nel condimento perché è fatto con sogliole, vino bianco e pomodoro. Delicato, odoroso e sorprendente anche perché, nonostante il pesce, la ricetta richiede la classica, abbondante "informaggiata" di parmigiano.
Famosi inoltre, soprattutto nell'Anconetano e nell'Ascolano (terra caratterizzata dalle ormai famose olive ripiene fritte), sono i «cacuini». Si tratta di un singolare esempio di unione tra dolce e salato: sono dolci casalinghi fatti con pasta da pane tirata a sfoglia per formare dei grandi ravioli che vengono riempiti con pecorino fresco e stagionato, tuorli d'uovo, zucchero e scorza di limone grattugiata. Prima di essere infornati vengono incisi con un taglio a croce (che permette la fuoriuscita del formaggio durante la cottura) e pennellati con uovo sbattuto. Nelle stesse provincie se ne prepara un'altra versione, che ha come sfoglia di rivestimento una pasta dolce e come ripieno un misto di ricotta, tuorlo d'uovo, zucchero, cioccolato grattato, cannella e mandorle. I «caciunitti», invece, sono «cacuini» più piccoli che al posto dei rossi d'uovo e della ricotta hanno una purea di ceci. Invece che al forno vengono fritti.
Una particolare menzione meritano i «tortelli di San Leo», ravioloni giganti con un ripieno di erbe aromatiche spontanee di campagna, verdure dell'orto come bietole e spinaci, ricotta, formaggio e altro. Si condiscono con sugo di carne e formaggio.
La zona collinare verso l'Adriatico presenta una vera passerella per gli ortaggi che sono fra i migliori d'Europa, come i cavolfiori di Jesi e di Fano, i cardi della Valle del Trodica, protagonisti della parmigiana di gobbi, i piselli di Potenza Picena, i carciofi di Montelupone, le fave di Ostra, le lenticchie di Visso e i «vinciarelli», piante cardacee introvabili in altre parti d'Italia.
I dolci molto semplici e casalinghi, per i quali si usano i prodotti locali, sono comuni a tutta la regione. Per questa zona in particolare ricordiamo il «serpe». L'impasto di mandorle, zucchero, chiave d'uovo e burro viene arrotolato e attorcigliato su se stesso, poi appoggiato su un foglio di ostia e cotto in forno con un rivestimento di cioccolata o glassa di zucchero.
Nel bicchiere brilla un vino locale proveniente o dall'immediato retroterra costiero cosparso di vigneti che si addentrano nelle vallate, o dal cuore agricolo della regione: qui si producono i vini più tipici e pregiati, primi fra tutti il Verdicchio e la Vernaccia di Serrapetrona.
In tutte le Marche sono molto diffusi i liquori e i distillati che appartengono a un'antica tradizione legata alla presenza di numerosi conventi che fino dal XV secolo si dedicarono alla preparazione di bevande, ancora oggi prodotte da molte distillerie rispettando le antiche ricette. Un prodotto tra questi eccelle per fama: l'anice, in considerazione del fatto che la materia prima si produceva in grande quantità soprattutto nella zona di Ascoli Piceno.
In particolare ricordiamo l'antico «balsamo Cagliostro» prodotto a San Leo, così denominato perché secondo una diffusa leggenda si tratta di un liquore creato da Cagliostro. Ma è solo una leggenda perché il poveretto, imprigionato dal papato che non gradiva le sue pratiche massoniche, trascorse anni di detenzione chiuso in una cella e nutrito da una botola aperta nel soffitto. Impazzì e uscì soltanto dopo la morte. Difficile che in queste condizioni abbia avuto voglia di sperimentare balsami e liquori. Ciò non toglie che il «balsamo Cagliostro» sia un eccellente digestivo a base di radici di liquirizia, senza aggiunta di coloranti e sostanze sintetiche.
La gastronomia dell'entroterra
La cucina dell'entroterra marchigiano è costituita da sapori antichi e da vecchie tradizioni che sono rimaste immutate nel tempo per rendere sempre unico ogni piatto.
Il tartufo, bianco o nero che sia,domina nelle ricette dell'entroterra e viene usato per insaporire moltissimi piatti. Insieme con i funghi i tartufi sono i protagonisti di uno dei piatti locali più tipici come il vincisgrassi. Questo piatto tanto antico è legato ad una leggenda del passato: si narra che il nome della pietanza derivi dal nome di un capitano dell'esercito austriaco impegnato a combattere nelle Marche l'esercito di Napoleone, il principe Windisch - Graetz. Quest'uomo Manifestò un così grande entusiasmo per queste lasagne, preparategli da un cuoco locale, che da allora si usa proprio il suo nome, italianizzato, per indicarle.
La carne domina nella cucina dell'entroterra é una carne che deriva da un'ottima razza bovina, molte simile alla chianina, dalle cui carni si ottengono grandi specialità. Piatto simbolo di Pesaro sono i tournedos alla Rossini, filetto brasato con prosciutto, funghi prezzemolo, limone ed una spruzzata di pepe. Ad Urbino invece si mangia la braciola costituita da un rotolo di manzo farcito e brasato nel vino bianco. Anche l'allevamento suino domina in questa regione e permette grande disponibilità di salumi. I prosciutti affumicati della zona di Fabriano godono di un trattamento particolare: vengono prima salati, poi sottoposti a lavatura di aceto, infine insaporiti con pepe nero. A Montefeltro invece il prosciutto viene prima insaporito con il pepe e poi lavato con vino cotto. Il ciaùsculu è invece la tipica salsiccia di Macerata, fatta di carne di maiale ridotta in pasta fine, macinata ed insaporita con aglio, sale e pepe. Ottima se spalmata su fettine di pane abbrustolite. Ma la vera regina del territorio marchigiano è senza dubbio la porchetta, cotta sullo spiedo, con la sua tradizionale imbottitura di finocchio selvatico.
La cucina della montagna
Sentieri nascosti, itinerari conservati gelosamente nella memoria, profumi del sottobosco, aria umida e subito il profumo dominante del tartufo. La scoperta di questo tesoro è frequente nei territori marchigiani perché le”miniere” scavate dall'antico figlio del fulmine sono sparse un po' ovunque. Un vero spettacolo è vedere, per il visitatore di queste magiche foreste, come i cavatori con i circospetti atteggiamenti di chi smercia prodotti fini e preziosi, liberano per pochi attimi i tartufi dai cartocci per esporli all'occhio e al naso dell'appassionato compratore. La simbiosi con le vecchie piante è il segreto che conferisce al tartufo finezze e sapori straordinari, maggiormente ricercato è il tartufo delle vecchie e maestose querce che si presenta più scuro e più pesante.
La striscia montagnosa di questa regione è terra di antichissima civiltà rurale. La gente vive con grande decoro, a giusto ritmo, in un ambiente sereno, senza asprezze. I contadini risiedono sempre (ed è una situazione unica in Italia) sul fondo che coltivano, le città e le cittadine (composte e raccolte, ma gioviali e luminose) sono quindi autenticamente "città", ma partecipano profondamente alla campagna che le circonda; ovunque perciò la tavola è sana, saporita, genuina. I cibi tradizionali sono, oltre alla pasta, i polli ruspanti, la selvaggina, le verdure, le olive. Il condimento più usato è l'olio, ma anche il burro e soprattutto lo strutto, che in quasi tutte le altre zone d'Italia è stato abbandonato, qui è spesso usato, con intelligente parsimonia per non appesantire troppo lo stomaco.
Ma sulle montagne di questa zona regna sovrano il maiale con una grande varietà di salumi per i quali si utilizzano - secondo il carattere parco della gente marchigiana - tutte le parti, anche quelle considerate di scarto. Il maiale infatti è il filo conduttore della gastronomia dell'entroterra marchigiano e la sua storia è legata a quella delle famiglie mezzadrili. Allevato con ghiande e pastoni, la macellazione avveniva d'inverno, quando scarseggiava il cibo proveniente dalle altre attività agricole e le basse temperature permettevano la lavorazione e la conservazione delle carni di suino. L'uso di valorizzare al meglio anche le parti meno pregiate ha dato vita ai due salumi più tipici della regione, il «ciauscolo» o «ciavuscolo» e il «salame lardellato». Il «ciauscolo» ad esempio è un insaccato che si mangia fresco, spalmato su fette di pane casalingo e che tradizionalmente si prepara con le parti meno nobili dell'animale, recuperate dalla pancetta, dalla costata e dalla spalla con l'aggiunta del grasso. L'impasto è condito con sale e pepe, aglio e vino cotto, poi passato alla macchina con trafila piccola perché deve essere ben macinato. Insaccato in un budello gentile, è simile a una grossa salsiccia ed è lasciato ad affumicare con bacche di ginepro, per alcuni giorni. Si passa poi alla stagionatura, che varia da due a tre mesi, in locali ben areati o in cantina.
Un'altra specialità "povera", tipica delle montagne dell'Ascolano è la «coppa», una specie di salame preparato con cotenne, cartilagini, orecchie, lingua e muso del maiale. Questi ingredienti vengono messi a bollire per tre o quattro ore insieme alle ossa dell'animale, dalle quali si distacca poi ogni pezzetto di carne utile. Tutte le parti vengono quindi triturate grossolanamente e condite con pepe, cannella, noce moscata, aglio, mandorle, noci tritate e pistacchi. Il composto viene insaccato nel budello chiamato "trombone" per la sua grossezza e legato con lo spago, bollito nuovamente nella stessa acqua, infine lasciato raffreddare sotto un peso perché si compatti. Dopo quattro o cinque settimane la «coppa» è pronta e viene servita a fettine sottili per lo più come antipasto.
La preparazione sovrana della cucina di terra marchigiana è la «porchetta». Immancabile in qualunque sagra o festa paesana, la si trova spesso anche sui bordi delle strade più frequentate: viene offerta su semplici bancarelle tagliata a grosse fette e accompagnata da pane casereccio.
Anche se questa usanza si riscontra in molte zone del resto d'Italia centrale, sembra ormai accertato che l'invenzione e il primato della qualità si debbano proprio alle Marche. La «porchetta» viene debitamente disossata e poi imbottita di aromi tra i quali l'aglio e il finocchio selvatico, quindi irrorata di vino. La cottura tradizionale è allo spiedo, all'aperto, con l'odore aggressivo che si spande per i paesi, il lento dorarsi della carne che diventa color terracotta, croccante all'esterno e dentro morbida. Ma il risultato è ottimo anche con la cottura al forno, e là dove il fuoco è a legna, alimentato con rami di pino, lecci, quercia, la carne diventa ancor più profumata e ha un sapore ineguagliabile. Con la stessa tecnica preparatoria si cucinano anche il coniglio, le lumache, e altre carni che assumono un sapore eccellente.
Interessante è anche l'insaccato denominato «mazzafegato» che viene preparato con lo stesso impasto della soppressata, al quale è aggiunta una proporzione del quindici per cento di fegato di maiale e altre interiora. La parte di grasso aggiunta deve aggirarsi attorno al venticinque per cento del quantitativo di carne magra. Il tutto, macinato e condito con sale, pepe, aglio, scorza d'arancia e aromi, viene insaccato in un budello di piccolo diametro preventivamente lavato e aromatizzato nel vino caldo. I salami, una volta legati, vengono lasciati asciugare in luogo fresco, quindi messi a stagionare. La tradizione vuole che arrivi in tavola per far festa durante il Carnevale e, comunque, il prodotto va consumato prima dell'arrivo dell'estate perché con il caldo rischia di irrancidire.
Fra i primi piatti in cui abbonda la pastasciutta (occasione di molte invenzioni) caratteristici sono i «vincisgrassi». Si preparano come grosse lasagne rettangolari, fatte in casa, che si condiscono con funghi, fegatini, e possibilmente tartufo; poi si coprono di besciamella e si passano in forno. Ma squisita è la «zuppa alla marchigiana», un piatto che da solo costituisce un intero pasto, che richiede una lunga ma meritata preparazione. Secondo un'antica ricetta sono necessari i seguenti ingredienti: quattro cespi di indivia, un sedano, una cipolla, olio e burro quanto basta, un composto di duecentocinquanta grammi tra polpa di manzo e vitella, tre fegatini di pollo, tre uova, un cucchiaio di farina, pane a cassetta, due salsicce, cinquanta grammi di parmigiano grattugiato, sale e pepe quanto basta. Si procede alla preparazione nel seguente modo: si pulisce bene il sedano che deve essere piccolo e bianco, si taglia a tocchetti, si pulisce bene anche l'indivia scartando tutte le foglie verdi e si taglia a strisce. In una casseruola si fa rosolare con olio e burro la cipolla tritata finemente, si uniscono poi l'indivia e il sedano, si condisce con sale e pepe lasciando cuocere per un quarto d'ora. Si mette sul fondo di una pirofila il pane a cassetta tagliato a fette e vi si dispone sopra il trito di sedano e indivia coprendo largamente con il brodo. Si mette poi il coperchio e si lascia cuocere pianissimo, il tempo necessario affinché i sedani diventino teneri, se occorre durante la cottura si unisce altro brodo. Intanto si passa la carne al tritacarne. La si dispone in una terrina e la si passa con un uovo, la farina, trenta grammi di parmigiano, sale e pepe. Con questo composto si fanno delle polpettine grosse come nocciole e si fanno colorire con olio e burro, si cuociono nel burro anche i fegatini a pezzetti, si lessano le salsicce, si assodano le altre due uova e si tagliano queste e quelli a rondelle. Quando la zuppa sarà pronta si uniscono le polpettine, i fegatini, le salsicce e le uova sode, si condisce con il parmigiano, si copre con il brodo e si passa al forno a crostare.
Tra le attrattive gastronomiche marchigiane, ci sono anche i funghi e i tartufi. Alla fine dell'estate si trovano ovoli e porcinelli rossi, in autunno i gelsi e le querce regalano i chiodini, ottimi per fare i sughi; a fine Aprile abbondano i prugnoli e le spugnole. Poi vengono il leccino e il galletto, le mazze di tamburo, il sanguinello, il gelone e i porcini. I tartufi che si trovano nei boschi marchigiani sono di straordinaria qualità e con aroma molto intenso, nella varietà sia bianca sia nera. Alcune aziende utilizzano quelli di piccole dimensioni per la produzione di creme di tartufo, burro e olio al profumo di tartufo, confezioni di tartufi estivi trifolati, creme miste di funghi, olive e tartufi, fondute di formaggi al tartufo e così via.
Tutta la casearia marchigiana ha origini contadine, addirittura familiari. In una regione dalle tradizioni povere le necessità alimentari di casa sottostavano alla disponibilità di determinati cibi. Il formaggio era uno di questi, ottenuto quasi sempre dalla mungitura di sole pecore, in qualche caso anche di capre, molto più raramente di mucche, perché era molto più semplice governare greggi ai pascoli, controllandole durante le periodiche transumanze, che non mandrie di animali di grandi dimensioni per i quali non sarebbe stato sufficiente l'aiuto dei cani. Nel tempo la produzione del formaggio diventò una voce importante dell'economia del territorio, tanto da formare oggetto di disposizioni precise delle signorie dominanti. La tradizione si è consolidata e ancora oggi il pecorino nelle sue varie versioni rappresenta uno degli elementi fondamentali della gastronomia marchigiana, con caratteristiche diverse da una località all'altra. Fra tutti ricordiamo il famoso pecorino dei Monti Sibillini, preparato con erbe aromatiche: serpillo, maggiorana, basilico, germogli di rovo mescolati con chiodi di garofano, noce moscata, pecorino grattugiato, rosso d'uovo, pepe e olio, in giornate di cielo sereno, senza vento e con luna calante. A Monte Rinaldo il gusto è dato non solo dal serpillo e dalle altre erbe e spezie, ma anche dall'agnello da latte dal cui stomaco viene prodotto il caglio. Il pecorino è ottenuto dal latte di pecora cagliato, cotto, salato e messo in forma.
I dolci marchigiani sono sobri, frutto della prudenza e della misura, e sono preparati utilizzando le materie prime del territorio, in un equilibrio che evita i sapori eccessivi. Di solito contengono poco zucchero, proprio perché un tempo era un bene prezioso da usare con parsimonia ed era lasciato al miele il compito di arricchire i dolci. Venivano realizzati in occasione del Carnevale, di ricorrenze religiose o di avvenimenti legati alle stagioni. Fra questi ricordiamo il «frustingo» o «frustenga», o «pistingo», o «frostenga»; è un dolce tipico che ha molte varianti non solo di gusto ma anche linguistiche. Si scopre che deriva da "frusto", ossia povero, anche se siamo di fronte a una fantasiosa invenzione partendo da ingredienti semplici, quotidiani. Dolce invernale legato alle feste natalizie, assembla a farina integrale un repertorio di ingredienti che varia in ogni ricetta, dove non mancano noci, mandorle, fichi secchi, cedro candito, succo d'arancia, scorza di limone, uva sultanina, olio d'oliva, cannela, rhum, cacao, caffè, vino bianco secco e mosto cotto.
Prodotti tipici marchigiani
Il tartufo
Nei boschi marchigiani si trovano tartufi sia bianchi che neri e che sono di straordinaria qualità e con aroma molto intenso. Il tuber magnatum Pico, il tartufo bianco più pregiato e raffinato, si trova soprattutto a Sant'Angelo in Vado e a Sant'Agata Feltria, nel Pesarese, da ottobre a dicembre.
Salumi
Il maiale è prodotto in tutto il territorio delle Marche. la sua storia è legata a quella delle famiglie mezzadrili; veniva allevato con ghiande e pastoni e la macellazione avveniva d'inverno.
Ciavuscolo
È il salume tipico della zona interna delle provincie di Ascoli Piceno, Ancona e Macerata.
La sua ricetta tradizionale prevede la preparazione con carni delle parti meno nobili dell'animale, recuperate dalla pancetta, dalla costata e dalla spalla con l'aggiunta del grasso. L'impasto è condito con sale e pepe, aglio e vino cotto. Insaccato in un budello gentile, è simile a una grossa salsiccia ed è lasciato ad affumicare con bacche di ginepro, per alcuni giorni.
Coppa di Ascoli Piceno
Ad Ascoli Piceno viene prodotta una coppa preparata con cotenne, cartilagini, orecchie, lingua e muso del maiale. Questi ingredienti vengono messi a bollire per tre o quattro ore insieme alle ossa dell'animale, dalle quali si distacca poi ogni pezzetto di carne utile. Tutte le parti vengono quindi triturate grossolanamente e condite con pepe, cannella, noce moscata, aglio, mandorle, noci tritate e pistacchi.
Mezzafegato di Fabriano
A Fabriano si produce con lo stesso impasto della soppressata, il mezzafegato, al quale è aggiunta una proporzione del quindici per cento di fegato di maiale e altre interiora. Il tutto, macinato e condito con sale, pepe, aglio, scorza d'arancia e aromi, viene insaccato in un budello di piccolo diametro preventivamente lavato e aromatizzato nel vino caldo.
Formaggi
Iregione dal suolo montuoso e ondulato,le Marche sono ricche di pascoli dove il bestiame si alimenta in modo completamente naturale e dà un latte ricco per formaggi unici e squisiti.
Ci sono formaggi di latte vaccino e ovino,di latte caprino e di latte misto.Ogni zona ha il suo formaggio e ogbi formaggio ha la sua tecnica e il suo periodo di produzione:il sapore del latte,si sa,dipende dalla razza degli animali e dal loro cibo.Bisognerebbe dunque provare un po' tutti i formaggi marchigiani per scegliere il proprio preferito.
Il bazzott è un formaggio da tavola di latte di pecora, puro o mischiato a latte vaccino che si consuma a metà stagionatura. Il suo nome infatti significa "né fresco né maturo".
La caciotta, conosciuta anche con il nome di caciofiore è un formaggio di latte ovino con pasta dolce, burrosa e delicata. La più rinomata è quella di Urbino.
Di pecorino esistono vari tipi nelle Marche. Nella sola provincia di Pesaro, a Talamello, viene avvolto in foglie di noce e poi fatto invecchiare in grotte di tufo, a San Leo, invece, viene fatto maturare in speciali anfore di terracotta, a Casteldelci le forme di pecorino vengono sottoposte a un trattamento, ripetuto per tre giorni, che consiste in una immersione nel siero bollente seguita dalla salatura.
Lo slattato è un formaggio molle di latte vaccino intero somigliante allo squaquaron romagnolo e alla crescenza lombarda.
Caciotta di Urbino
La caciotta di Urbino, tutelata dal 1982 dalla denominazione di origine protetta, è un formaggio a pasta friabile prodotta con latte di pecora intero per il 70-80 per cento e con latte vaccino, derivato da due mungiture giornaliere con l'aggiunta di lieviti nobili e di caglio.
È un classico formaggio da tavola da gustare preferibilmente fresco per conservare la delicatezza del sapore di latte che gli conferisce una sfumatura tendente al dolce.
Pecorino
Sulla produzione del pecorino marchigiano influisce sia il clima diverso che le varie tecniche di lavorazione; mentre, infatti, nelle province di Pesaro, Ancona e Macerata le forme, terminata la salatura, vengono scottate con il siero perché non rimangano troppo pallide e per ritardare la maturazione. Sui Monti Sibillini invece è il caglio a dettarne le caratteristiche.
A Talamello, invece, il pecorino è messo a stagionare avvolto in foglie di noce, entro caverne di tufo e, dove queste grotte non esistono, come a San Leo, lo depongono in speciali anfore di terracotta.
Dolci e vini
I dolci delle Marche sono per lo più a base di frutta secca e mandorle. Il più tipico è probabilmente il frustingolo, fatto di uvetta, fichi secchi, noci, mandorle e cioccolato amaro. Poi i caciuni, 'calzoni' dal singolare ripieno di pecorino, limone e zucchero, le beccate con mandorle, pinoli e noci. La viticoltura nelle Marche fu introdotta con ogni probabilità dai greci, che colonizzarono la zona nel quarto secolo avanti Cristo. Sono diffusi i vigneti Sangiovese, Montepulciano, Trebbiano e Verdicchio. Il vino più famoso è senz'altro il Verdicchio, un bianco che si sposa benissimo con i piatti di mare. Ne esistono diverse varietà, tra le quali quella di Matelica, quella di Jesi e quella di Pian delle Mura, quest'ultima indicata per i primi di pasta. Da segnalare anche i bianchi dei Colli Maceratesi e del Metauro. Tra i rossi citiamo quello del Conero e quello di Ascoli Piceno. Infine, esiste anche la Vernaccia marchigiana, coltivata a Serrapetrona.
I salumi
La barbaja è la guancia suina salata e conservata, corrispondente al guanciale delle cucine abruzzese e laziale.
Li ciarimbuli sono grosse budella di maiale prima salate, poi trattate con pecorino e semi di finocchio. Vengono tenute a prendere fumo per una settimana, quindi si cucinano alla griglia.
Il ciausculu, dal nome dialettale con il quale si identifica il budello gentile nel quale si insacca, è un salame confezionato con carne suina piuttosto magra tritata fine, poi aromatizzata all'aglio e ben pepata. Nella versione chiamata ciausculu bastardu la carne di maiale viene arricchita da pancetta passata nella trafila così tante volte che resta morbida anche dopo la stagionatura e rende questo prodotto locale una crema che si può spalmare sul pane.
La coppa marchigiana è un salume di carne della testa del maiale mista a cotenne, cotta e poi aromatizzata con sale, pepe, cannella o noce moscata, mandorle, pinoli e scorza d'arancia, e infine fatta raffreddare sotto pressa.
Il cotechino di San Leo è preparato con guanciale di maiale, cotenna, pancetta e spalla macinati insieme e conditi con sale, pepe nero, pepe garofanato, noce moscata e cannella. Viene lessato come altri tipi di cotechino e poi accompagnato da lenticchie o fagioli.
La goletta è la gola del maiale, comprendente lardo e magro, opportunamente salata e stagionata.
Il mazzafegato di Fabriano è carne di maiale tritata con fegato e polmone, poi salata e pepata. Dopo la preparazione tutto l'impasto tritato viene insaccato in un budello e poi appeso a prendere fumo.
La porchetta alla marchigiana viene preparata sia nella misura piccola sia in quella grossa. Per imbottirla si adoperano finocchio selvatico, molto aglio a spicchi interi, rosmarino, sale e pepe, il tutto imbevuto di vino bianco secco.
Il prosciutto di Montefeltro ha la forma di una pera, è del tipo salato e viene appeso a prendere fumo. La parte scoperta della cotenna è rivestita di pepe macinato.
Il salame di Montefeltro è prodotto con la carne della coscia e della lombata, impepata abbondantemente con pepe in grani e pepe macinato.
La soppressata di Fabriano si prepara con carne magra macinata e rimacinata unita a dadi di pancetta, salata, impepata, insaccata nelle budella dello stesso maiale, quindi affumicata e poi stagionata. A Fabriano si trova pure un ottimo salame di carne della coscia non tritata ma tagliata col coltello.
Le olive all'ascolana sono olive verdi della zona eccezionalmente polpose che vengono tagliate a spirale, farcite con un ricco ripieno a base di carni miste e salumi, quindi ricomposte, impanate e fritte.
Il pan pepato è un pane rustico piccante e dolciastro di farina, sapa e molto pepe, un tempo tradizionale del periodo della mietitura.
STORIA DELLA CUCINA MARCHIGIANA
Terra di congiunzione tra Nord e Sud, la cucina delle Marche partecipa strettamente dei caratteri della cucina e delle tradizioni dei paesi confinanti. Il Pescarese ha chiara tinta romagnola, l'influenza toscana e umbra è evidente lungo la dorsale appenninica, la provincia di Ascoli Piceno è un'anticamera dell'Abruzzo e del Lazio. Mentre la tradizione culinaria marchigiana rimane tagliata fuori dagli splendori rinascimentali sia legati al potere della Chiesa sia delle corti perché questa terra fu, dal punto di vista storico, terra di conquista lasciata nelle mani dei piccoli signorotti locali i cui usi e costumi non valicarono i confini dei propri possedimenti. Non è un caso, infatti, che nei grandi trattati storici di arte culinaria, la cucina delle Marche (come quella dell'Abruzzo e del Molise) non compaia.
Dal punto di vista gastronomico le Marche dunque non hanno grossa fama di originalità. Ma se è vero che la cucina presenta alcune caratteristiche identiche a quelle delle regioni vicine, è anche vero che vi aggiunge non poche specialità peculiari. Ciò che va sottolineato subito è l'alto livello qualitativo che si riscontra nei ristoranti e nelle trattorie: una cucina rustica più che raffinata, ma sempre corretta, scrupolosa, fatta di amore e sapienza antica arricchita dall'impegno e dalla cura delle parsimoniose donne di questa terra.
Lungo la costa, morbida per tutta la sua lunghezza tranne che per l'impennata rocciosa del Conero, la pesca è sempre stata attività primaria (San Benedetto del Tronto è tuttora il mercato ittico più importante dell'Adriatico); prevalgono perciò le ricette di pesce (spiedini e brodetti), che dalla freschezza della materia prima, oltre che dall'abile preparazione, traggono prelibatezza.
Il resto della regione, percorso da una fascia di dolci colline e poi da una striscia montagnosa, è terra di antichissima civiltà rurale. Questo carattere si avverte nettamente in ogni aspetto della vita e del paesaggio, nonostante il notevole sviluppo industriale e turistico che le Marche hanno raggiunto nel corso dei secoli. La gente vive con grande decoro, a giusto ritmo, in un ambiente sereno, senza asprezze. I contadini risiedono sempre (ed è una situazione unica in Italia) sul fondo che coltivano, le città e le cittadine (composte e raccolte, ma gioviali e luminose) sono autenticamente "città", ma partecipano profondamente della campagna che le attornia; ovunque perciò la tavola è sana, saporita, genuina. I cibi tradizionali sono la porchetta, i polli ruspanti, la selvaggina, le verdure, le olive, i salumi (tipico il gustoso prosciutto, sempre più rustico via via che si va verso l'interno, e che non si taglia a fette, ma a tocchetti). Il condimento più usato è l'olio, ma per alcuni cibi vengono adoperati anche il burro e soprattutto lo strutto, che in quasi tutte le altre zone d'Italia è stato abbandonato; qui è spesso usato, con intelligente parsimonia, per non appesantire troppo lo stomaco. In più, la provincia di Pesaro è la maggiore produttrice di tartufi d'Italia, in particolare del tartufo bianco pregiato, in diretta concorrenza con Alba: la "capitale" marchigiana del tartufo è Acqualagna, tra Pesaro e Urbino, dove si tiene un famoso mercato. I profumatissimi tuberi (bianchi, neri, grigi, viola, color nocciola e color terra) entrano quindi nella gastronomia locale con una certa frequenza, dando vigore e carattere a molti piatti. La preparazione sovrana della cucina "di terra" nelle Marche - come abbiamo accennato - è la porchetta. Immancabile in qualunque sagra o festa paesana, la si trova spesso anche sui bordi delle strade più frequentate: viene offerta in semplici bancarelle tagliata a grosse fette e accompagnata da pane casereccio, come occasione di sostanziosi spuntini. Veramente, l'usanza della porchetta è comune alle provincie della Toscana meridionale, all'Umbria e ad alcune zone del Lazio, ma sembra ormai accertato che l'invenzione e il primato della qualità si debbono proprio alle Marche. La porchetta viene debitamente disossata e poi imbottita di aromi tra i quali l'aglio e il finocchio selvatico, quindi irrorata di vino. La cottura tradizionale è allo spiedo, all'aperto, con l'odore aggressivo che si spande per i paesi, i bambini che corrono intorno, il lento dorarsi della carne che diventa color terracotta, croccante all'esterno e dentro morbida. Ma il risultato è ottimo anche con la cottura al forno, e là dove il fuoco è a legna, alimentato con rami di pino, lecci, quercia, la carne diventa ancor più profumata e ha un sapore ineguagliabile. Con la stessa tecnica preparatoria si cucinano anche il coniglio, le lumache, i "garagoli" (prelibati gasteropodi, molluschi provvisti di una conchiglia dorsale a spirale, simili alle lumache) che vengono appunto definiti "in porchetta": alla base c'è l'aromatizzazione con un trito abbondante di aglio, pancetta, finocchiella selvatica e la presenza del vino bianco che ammorbidisce, rinvigorendo il sapore.
Dal profumo della porchetta passiamo a quello, non meno stuzzicante, del «brodetto», che viene da tutte le località della costa. È la zuppa di pesce dell'Adriatico; una mescolanza di pesci, interi e a pezzi, in un intingolo pieno di aromi. Ogni città e cittadina presenta il "suo" brodetto in una specie di gara senza vinti né vincitori, ma molto appassionata. Due sono le tecniche fondamentali: quella in uso ad Ancona e su tutto il tratto costiero da Pesaro fino al Conero e quella invece che si trova da Porto Recanati fino al confine con l'Abruzzo. La prima si basa su un intingolo di aglio, olio, cipolla, pomodoro, prezzemolo, pepe, aceto, nel quale si mettono a cuocere da nove a tredici qualità di pesce. Anzi, ad Ancona il numero di rigore è proprio il tredici; chi è superstizioso, può arrivare a diciotto: roscoli, sgombri, passeri, rombi, scampi, cefali, cicale, scopene, spigolette, merluzzetti, pannocchie, calamari, seppie, sogliole, palombo, pesce cappone, anguille... La seconda ricetta-base richiede che il pesce venga rosolato dopo essere stato infarinato e fatto poi cuocere in un intingolo il cui ingrediente dominante (non solo per il colore acceso) è lo zafferano selvatico. Su questi due temi, le infinite variazioni sono comunque armoniose soprattutto perché il pesce, di scoglio e di fondo, è di esemplare freschezza. Naturalmente, il pesce è presente nei menù in molte varietà di preparazione.
Se la preparazione del brodetto divide i marchigiani della costa, quella di altri piatti regionali non vede diatribe né tenzoni. I «vincisgrassi» sono il primo piatto più caratteristico, il piatto bandiera della cucina marchigiana, in particolare di quella maceratese. Si presentano come grosse lasagne rettangolari, fatte in casa, con farina bianca, semolino, burro, uova, sale e vin santo marchigiano, che si condiscono con funghi, fegatini e possibilmente tartufo; oppure con rigaglie di pollo, cervella, animelle e prosciutto; poi si coprono di besciamella e si passano in forno. Un tempo la besciamella era sostituita da un insieme di brodo e pane grattugiato. Una storia, come sempre un po' leggendaria, sta alla base di questo piatto, che sarebbe nato nel 1799, al seguito del principe Windisch-Graetz, capitano dell'esercito austriaco contro Napoleone. Ad Ancona egli avrebbe mangiato con soddisfazione le lasagne così preparate, forse da un cuoco locale, forse da un cuoco del seguito. Fatto sta che, da allora, storpiando il suo difficile nome, il popolo lo avrebbe associato a uno dei piatti più amati. Il che sembra almeno un po' dubbio. In realtà, le lasagne dovevano essere una preparazione assai più antica: forse dal nobile straniero hanno preso solo il nome. È doveroso ricordare infatti che nel ricettario maceratese di Antonio Nebbia, scritto molti anni prima della visita del principe, si fa riferimento a una salsa per prinzgras (termine di cui non si sa la provenienza) che corrisponde appunto a un intingolo per i vincisgrassi.
Come in tutto il centro-sud, la pasta è una presenza immancabile sulla tavola, occasione di infinite invenzioni.
I «cappelletti alla pescarese» assomigliano a quelli romagnoli, ma hanno un ripieno a base di arrosto di maiale, lesso di cappone o tacchino, midollo di garretto di bue con uova, pepe, noce moscata, parmigiano. Si mangiano nel brodo di cappone e sono tradizionali a Natale. Si preparano invece tutti i giorni della settimana i «macaron fatt in chesa» che sono le classiche tagliatelle a base di farina, semola, uova e fatica. Le donne le preparano con l'abilità e l'ardore che si riscontrano in terra emiliana e romagnola. Davanti alla spianatoia, muovono rapide le spalle e le braccia nei gesti rituali dell'impasto, poi stendono la sfoglia sottile e perfettamente omogenea, infine con polso fermissimo la tagliano a strisce. Ed ecco pronte da cuocere, sode, elastiche, croccanti, le tagliatelle o le pappardelle che un ragù di carne, funghi e pecorino o l'incontro con cacciagione e/o fegatini renderà ricche e stupende.
Nel Pescarese troviamo una ennesima versione, questa volta "di magro" dei ravioli: insoliti non tanto nel ripieno (ricotta, uova, prezzemolo, noce moscata) quanto nel condimento perché è fatto con sogliole, vino bianco e pomodoro. Delicato, odoroso e sorprendente anche perché, nonostante il pesce, la ricetta richiede la classica, abbondante "informaggiata" di parmigiano. Sapide e corpose le zuppe rustiche marchigiane, come quella - vero e proprio piatto che fa pranzo - che accosta a verdure, polpettine di carne, fegatini, salsicce e fette di pane.
Le verdure, ricche di gusto e di colore, sono spesso protagoniste della tavola. Posto dominante hanno le olive: grosse e carnose, dense e lucenti come perle nere o verdi, vengono imbottite di carne, fegatini, mollica di pane, aromatizzate con noce moscata e cannella, quindi fritte. Specialità di Ascoli Piceno, si ritrovano in tutta la provincia e sono una delizia, perché il sensuale sapore del ripieno si sposa a meraviglia con l'acidulo sentore delle olive e la croccante allegria della costa.
Un'antica ricetta ci fornisce una preparazione classica «la liva (oliva) fritta all'ascolana». Lavare bene per togliere il sale e l'amaro a un chilo di olive in salamoia snocciolarle tagliando le olive in tondo, ad elica, in modo che formino un'unica striscia e che quindi siano poi ricostituibili. In una casseruola si mettono duecento grammi di carne di manzo magro, duecento grammi di petto di pollo, duecento grammi di carne di maiale magro, il tutto tagliato a tocchetti, olio d'oliva, cipolla, sedano, carota, sale e un pizzico di pepe nero. Quando il tutto è ben rosolato si trita molto finemente e in una terrina si mescola con centocinquanta grammi di parmigiano, mezza noce moscata grattugiata, due uova. Si lavora bene fino a ottenere un impasto omogeneo con i quale si formano delle palline della grandezza di una piccola noce, che verranno avvolte con la buccia delle olive snocciolate, in modo da ricostituire le olive. Si infarinano queste olive, si bagnano in due uova sbattute, si sgocciolano e si passano nel pangrattato. Si friggono in olio bollente e si servono calde. È una vera specialità.
Un altro tema su cui vale la pena di soffermarsi è lo stoccafisso. Nelle Marche lo si prepara almeno in tre modi: in umido, in tegame con strati di patate, e in "potacchio", con aglio, rosmarino, prezzemolo, acciughe, peperoncino, pomodoro. In questa tipica versione è essenziale il dosaggio scrupoloso degli aromi che trasformano il pesce dei poveri in una leccornia.
Non vasto ma fragrante il capitolo dei dolci: ciambelline e pagnottelle, ravioli di pasta frolla («piconi»), dolcini di Carnevale («scroccafusi»), un antico e un po' dimenticato dolce natalizio («frustignolo»). Ma forse il modo migliore per finire un pasto è quello di gustare il pecorino fresco; nelle Marche infatti lo si serve spesso in chiusura di pranzo: dolce, compatto, profumato, sa di erba e d'aria buona. È il formaggio più legato alle tradizioni al quale è dedicato anche un antico gioco. In alcuni paesi della regione infatti il pecorino è protagonista dell'antico gioco della ruzzola, che vede confrontarsi squadre di diverse borgate. Il gioco consiste nel far rotolare sulla strada una forma ben stagionata: ogni squadra fa tre lanci e vince chi arriva più lontano.
Cucina schietta e saporosa, è da scoprire e da gustare innanzitutto sul posto, anche perché, di fronte a certi aerei panorami di rocche e colline, immersi nell'atmosfera tra mistica e guerriera di tante zone o di fronte all'Adriatico dai riflessi cangianti, tutto assume una sua ineguagliabile coerenza. Ma da riprodurre poi, cercando di trarne non solo le indicazioni del "come si fa", ma ancor più l'equilibrio dei sapori, l'intelligente e prudente uso dei condimenti, l'amore per tutto ciò che è genuino, giusto, misurato.
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