INTRODUZIONE CUCINA TRENTINA
In questa regione convivono due cucine, quella prettamente tridentina, che risulta da una mescolanza di abitudini venete, lombarde e asburgiche, e quella bolzanina, influenzata da elementi tedeschi e slavi. Questa varietà d'influenze si è ben amalgamata, generando una gastronomia caratteristica e peculiare.
Anche i trentini, come tutti i veneti, sono grandi mangiatori di polenta, che preparano sia con la farina gialla che con quella di grano saraceno o con misture di farine di mais, di frumento e anche di patate, che accompagnano a piatti di carne, di pesce o di selvaggina; poi polente Pasticciate, fette di polenta fritte nello strutto e spolverizzate con sale oppure con zucchero.
L'abbondanza di funghi offre l'occasione di realizzare piatti elaborati, in cui possono entrare anche carni o pesci. Tra i piatti d'origine asburgica si trova il gulasch e si possono gustare i crauti con carni affumicate e i canederli (knodel), che sono polpettine di pane, speck e altri ingredienti. Famosi, oltre lo speck, gli ottimi formaggi delle valli. La lista dei dolci, come quella dei vini, è ricca di sorprese interessanti.
CUCINA TRENTINA
Basti pensare alle ricette contenute nel Libro per cuoco, il trecentesco trattatello di Anonimo Veneziano che, pur diffondendosi nelle indicazioni per la cucina di pesce, inserisce ricette di carni ben accolte e conservate anche oggi nella cucina altoatesina; così troviamo le istruzioni per il "Civiro (salmì) overo savore negro a cengiaro (= cinghiale)", che possono essere usate anche per il cervo o il capriolo e, tanto per fare un altro esempio, fornisce la ricetta per le "Fritelle da Imperadore magnifici", delle frittelle di formaggio zuccherate, un accostamento rimasto in questa terra dove - per citare un piatto molto in uso - gli gnocchi di patate contenenti albicocche (o susine) vengono conditi con burro, formaggio e/o zucchero e possono costituire un primo o un ultimo piatto di un pranzo che sulle montagne si conclude spesso con gli gnocchi di prugne secche di cui forniamo un'antica ricetta.
"Lessate seicento grammi di patate, schiacciatele finemente, e mescolatele a farina, fino ad avere un impasto soffice ma consistente.
Con esso fate delle pallottole o dei cilindrotti di sei-sette centimetri di diametro, al cui interno avrete messo una prugna secca, senza nocciolo, rigirata prima nello zucchero. Anche queste palle che avrete formato rivoltatele nello zucchero, e poi gettatele in una pentola con abbondante acqua bollente.
Contemporaneamente, preparate a parte una padella grande con dentro zucchero, burro e pangrattato. Sciogliete il burro, amalgamate il tutto, senza che lo zucchero caramelli.
Man mano che le pallottole vengono a galla, rigiratele nella mescolanza ancora calda fatta nella padella e servite subito.
È un dolce di gran festa sulle nostre montagne."
Così come Cristoforo di Messisbugo, originario delle Fiandre e attivo in qualità di scalco nei primi decenni del secolo XVI presso la corte degli Estensi a Ferrara, nella sua raccolta di ricette, provenienti dalla cucina di gran parte Europea, raggruppate con il titolo di "Composizioni de le più importanti vivande" fornisce minuziose indicazioni per fare "torte alla tedesca" che - come possiamo vedere - anticipano torte di mele e strudel che da secoli compaiono nella cucina altoatesina.
Scrive il Messisbugo: "Pigliarai pome dolci sino a quindeci o vinti, secondo la grossezza che seranno, e le monderai, poi le taglierai in fette onestamente grandi, e le porrai in un vaso con libbra mezza di zuccaro, e libbra mezza di butiro fresco, e acqua, tanto che siano quasi cotti e ben dolci.
Poi le caverai fuori con destrezza, sì che non si rompino le fette, e le servarai in un vaso. Poi, onta la tiella con once due di butiro fresco, le porrai sopra la tua spoglia con once quattro di zuccaro e oncia mezza di cannella sopra. E poi le distenderai sopra le fette delle pome tanto quanto tiene la spoglia.
Sopra dette fette gli porrai once quattro di zuccaro grattato, e oncia mezza di cannella, e once quattro di butiro fresco disfatto, gettandolo in qua e là a poco a poco. Poi gli porrai l'altra spoglia sopra con once tre di butiro fresco disfatto.
E la porrai a cuocere a fuoco lento, perché poco le bisogna a cuocere; e come sarà cotta, le porrai sopra once quattro di zuccaro.
E in questa torta si può fare anche due o tre suoli (= strati) di pome, ponendogli tramezzo zuccaro e cannella."
Ma anche per le carni l'uso di preparazione risale ad antiche tradizioni tedesche, sempre attingendo al Messisbugo che fornisce la ricetta per preparare "Fagiano, o cappone, o pizzone (= piccione), o piatti di vitello, o altro, cotto in vino bianco dolce, o vernazza, o malvagia, alla tedesca".
E Francesco Leonardi, già cuoco di Caterina II imperatrice di tutte le Russie, nella sua famosissima opera dal titolo "L'apicio moderno" ossia l'arte di apprestare ogni sorta di vivande, attinge alla cucina tedesca non solo nella ricetta dei cotechini, tanto diffusi nella valle dell'Adige, ma anche nel modo di servirli, prevedendo che siano "tagliati nel mezzo, con petrosemolo"; l'unica cucina che può prevedere il prezzemolo su cotechino è quella tedesca e altoatesina.
L'origine della cucina dell'Alto Adige è dunque tedesca sia nelle preparazioni sia nell'accostamento dei sapori (zucchero/sale), nell'uso delle spezie, nella scelta degli alimenti nei quali dominano il maiale, le patate, la segale, l'orzo e il cavolo per crauti. Altre influenze (oltre a quelle della cucina veneziana) si possono riscontrare in relazione alla cucina ungherese sia per ragioni di vicinanza geografica sia di vicende storiche, avendo questa terra di confine fatto parte dell'Impero Austro-ungarico di Francesco Giuseppe (1830-1916): un dualismo politico basato sulla supremazia dei Tedeschi e dei Magiari rispettivamente nella parte occidentale e orientale dell'Impero. A testimonianza di tale influenza, domina ovunque incontrastato il gulasch, uno spezzatino reso dolciastro dalle cipolle (per un chilogrammo di carne si usano ottocento grammi di cipolle!) e molto piccante dalla paprica. Un piatto completato dalla polenta, molto diffuso ancora oggi sia nelle cucine private che nei ristoranti, nelle osterie, nelle birrerie, dove si può trovare anche in accompagnamento ai knödel di pane.
Tipica è anche la zuppa di crostini alla milza che viene insaporita con prezzemolo, maggiorana, scorza di limone, sale e pepe e lavorata con burro e uova. I crostini vengono preparati a sandwich, fritti nell'olio, asciugati, tagliati a strisce e ricoperti di brodo bollente cosparso dell'immancabile erba cipollina. E la zuppa al vino di Terlano, un potage fatto con brodo, rossi d'uovo, panna, vino bianco, il tutto montato a crema che viene servita in tazze con dadini di pane fritto nel burro e cosparsi di polvere di cannella. Molti primi piatti sono costituiti da zuppe, mentre i primi asciutti sono costituiti da una buona varietà di gnocchi essendo quasi assente la pasta se si esclude l'acquisizione abbastanza recente delle tagliatelle condite con un sugo di funghi e maiale, una carne molto diffusa anche se non mancano il manzo, il vitello, il capretto, il castrato che viene cotto sia bollito, sia in tegame con le patate, oltre naturalmente la selvaggina, soprattutto cervo e capriolo. Il pesce è limitato alle trote di torrente (famose quelle salmonate del torrente Avisio) cotte al cartoccio, lesse o dorate al burro con limone e prezzemolo; ricordiamo inoltre il baccalà (Stockfischgröstl) in tegame cotto con patate, burro, cipolla, aglio, panna liquida e prezzemolo. Fra i contorni dominano le patate preparate in molti modi, la polenta e i crauti, ma sono previsti anche gli spinaci, le rape, i cavoli e - in stagione - i funghi gallinacci che in questa zona sono particolarmente saporiti e i funghi porcini che vengono cotti solo trifolati con limone e prezzemolo.
I dolci sono molti, hanno un consumo particolarmente alto e le varie preparazioni utilizzano mele, castagne, prugne ma anche semi di papavero, frutta secca, anice, uva sultanina, albicocche, mirtilli, ricotta, ciliegie, pinoli, cannella, carote, cioccolata.
Un accenno merita il pane che riveste particolare sacralità e viene confezionato quasi sempre con farina di segale o integrale arricchite con semi di lino, o di anice e/o finocchio, mentre la farina bianca è riservata al "pane domenicale" condito con latte e burro e arricchito con zucchero e uva sultanina.
La celebre gastronomia dell'Alto Adige presenta altri motivi d'interesse: la sua origine asburgica e mitteleuropea è netta e offre quindi al visitatore esperienze molto interessanti, rese non di rado memorabili da eccellenti tradizioni alberghiere e da uno stile nell'ospitalità altamente professionale. La Regione ha sviluppato in passato una sua cultura culinaria elaborando i (non molti, ma ottimi) prodotti-base forniti dalla natura.
Squisito il pane, scuro e aromatizzato al cumino.
Orzo e segala sono usati per una grande varietà di minestre molto saporite; la frutta (mele, pere e uva, la stupenda uva della conca di Merano) con il miele e l'ottimo burro sono gli ingredienti di magnifici dolci.
La celebre, raffinatissima tradizione austriaca ha fatto scuola e si ritrova nelle torte al cioccolato e alla frutta, che sono a disposizione degli avventori in qualunque locale, nei fragranti «krapfen», nello «strudel», il famoso dolce a base di mele e profumato di cannella che si avvolge su se stesso nell'involucro di pasta croccante. Uno dei piaceri di una vacanza sulle Dolomiti o nelle valli è quello di approdare, dopo una passeggiata tra i boschi o sui pianori costellati di fiori, a un posto di ristoro dove ritemprarsi. Con la compagnia di una soffice fetta di torta o di una coppa di lamponi con panna, guardare le creste dentate e le pareti strapiombanti, trascolorare nel tramonto è un'esperienza di quelle che "valgono il viaggio", nel quale comunque il buongustaio non trascurerà certamente di approfondire la conoscenza del magnifico patrimonio enologico. Trentino e Alto Adige sono plaghe felicissime per ricchezza, varietà e quantità dei loro vini: tutta la regione è costellata di vigneti che danno una vasta produzione spesso caratterizzata da tipici, squisiti aromi.
Un'usanza antica, che ci riporta ai fasti del Rinascimento, ancora viva è quella di offrire nel corso dei grandi pranzi, soprattutto per dividere i piatti di pesce (di lago e di torrente) da quelli di carne, è quella che vede offrire il sorbetto che ha anche poteri digestivi: fra tutti caratteristico è il sorbetto al rododendro. Per realizzarlo, per quattro persone, occorrono un litro di acqua, trecento grammi di zucchero, una buccia di limone grattugiata e cinquanta grammi di petali di rododendro. Per la preparazione si prosegue facendo cuocere nell'acqua i petali di rododendro assieme allo zucchero e al limone. Il composto deve bollire una decina di minuti. Si passa quindi attraverso il colino fitto, eliminando i petali e il limone. Si mette in un contenitore e si passa al congelatore.
CUCINA TIPICA TRENTINA PRODOTTI TIPICI DEL TRENTINO
Di particolare interesse sono i tradizionali piatti contadini di origine povera come lo "smacafam". Di origine più recente, anche se ormai di fatto appartenente alla storia gastronomica della città, è la preparazione di piatti (dall'antipasto al dolce) tutti a base di mele. Gustosi anche i knòdel, qui chiamati canederli. Fra i piatti più caratteristici si segnalano: minestra di trippe, pasta e fagioli, pasticcio di maccheroni, ravioli trentini, anguilla alla trentina, baccalà alla cappuccina, frittata alla trentina, gulasch, lepre, polpette di fagioli, trote, baldonazzi, fiadoni, grostoli, rosada, strudel.
Polenta, speck e mele. In un trinomio si può riassumere gran parte della cucina tradizionale di questa regione di frontiera, una cucina senza fronzoli, dai sapori forti e genuini. Composto da un mosaico di vallate, percorso dal fiume Adige ed incorniciato dalle Dolomiti, il Trentino può essere considerato una zona di incontro tra i gusti della cucina meridionale e settentrionale. Per quanti scendono dal nord offre infatti un primo assaggio degli influssi mediterranei , anticipando i sapori della cucina tipica italiana. A Trento si possono assaggiare alcuni piatti di origine latina, quali le frittelle di salvia o di mele o il formaggio fritto. Per chi sale dal sud ecco invece aprirsi il mondo della gastronomia nordica con piatti che si rifanno alla tradizione tedesca o austriaca come i knodel e i sauerkraut.
La cucina tridentina
È facile individuare schematicamente i due tipi di cucine che convivono in Trentino. La prima , quella tridentina, geograficamente localizzata nella parte meridionale della regione, introduce elementi lombardi su una base tipicamente veneta. Elemento costante di questa cucina è la polenta, variamente preparata ed interpretata nella mille valli che compongono la regione : in Val di Non, ad esempio, la polenta è composta di farina gialla di mais mescolata a farina di grano saraceno mentre vicino al Garda si scopre una polenta con farina bianca di frumento e patate. Non manca naturalmente la caratteristica polenta nera, a base di grano saraceno. Inutile dire che sono centinaia le ricette che vedono protagonista la polenta, servita di volta in volta con cacciagione, funghi o formaggi. E quando avanzano delle fette si aromatizzano con la cannella, si friggono nello strutto e si servono con formaggio grattugiato o parmigiano. Altro punto forte della cucina tridentina è il pesce, proveniente dagli innumerevoli laghetti che si aprono nelle valli. Ricordiamo le trotelle alla trentina, rosolate e condite con salsa di limone, menta e uvette e l'ottima anguilla, arrostita o cotta con il vino. Tutte preparazioni non molto elaborate ma che possono contare sull'assoluta bontà di ciò che si è pescato. Altre specialità tipicamente tridentine sono la lepre, insaporita con lardo, cipolla, pinoli, uvette , scorza di limone , cannella e burro; i tipici probusti, il cui nome non è altro che l'italianizzazione del teutonico Würstel, salsicciotti di maiale o manzo insaporiti con aglio ed aromatizzati su un fuoco di betulla. Tra i piatti tipici da ricordare anche i cianuncei, ravioli ripieni di marmellata saltati in padella con burro e pane grattugiato. Anche nel sud del Trentino ovviamente iniziano a farsi strada i gusti della tradizione gastronomica del nord. Ecco quindi comparire piatti di derivazione austriaca o tedesca che sono entrati a far parte della cucina locale grazie ad una semplice variazione di nome. Parliamo dei canederli (knodel), piccole palle di pane raffermo impastato con ingredienti vari che variano di zona in zona ma che solitamente sono composti di speck, formaggio, fegatini ed un pizzico di erba cipollina; degli gnocchetti (nockerln), dei quali è particolarmente conosciuta la variante alla ricotta affumicata; dei crauti (sauerkraut) , saporitissimi e molto spesso serviti insieme ai canederli.
Trento e il suo territorio
La città di Trento è situata nell'ampia vallata dell'Adige tra Verona e Bolzano. La zona più a sud del Trentino dal punto di vista culinario è quella che abbiamo identificato con le città di Rovereto e Riva del Garda. Quella più a nord è l'Alto Adige di tradizioni austriache. Il territorio che qui consideriamo è un territorio di transizione. Il Trentino continua ad assolvere alla sua funzione di introduzione al vivere italiano per le schiere di cittadini austriaci e tedeschi avidi di sole oltre che delle cose buone che trovano in tavola, per non parlare di quel che c'è da bere. Il passaggio dall'area della cucina del burro alla cucina dell'olio avviene gradualmente via via che si procede verso Sud e anche in diretta dipendenza della quota di altitudine. Su nelle valli si è ancora in pieno clima alpino. I lunghi inverni hanno creato la necessità di una cucina di forte apporto energetico, sobria e semplice: sono ingredienti offerti spontaneamente dall'ambiente (funghi, selvaggina) o tratti dal lavoro, che si prestano alla conservazione: farina (di grano o meglio di granturco), patate, insaccati (soprattutto la gustosissima "lucanica" trentina), formaggi, carni (maiale e manzo, oca e polli, cavallo e asino) quasi sempre affumicate. Ecco, tra le varie specialità, la polenta "carbonera". È a base di farina di granturco a grana grossa, come quella che le donne delle malghe pestavano una volta nei mortai: vi si uniscono salame sbriciolato, cipolla e un robusto formaggio, la "spressa", che, essendo piuttosto magro, non basta a condire: la ricetta canonica dice di aggiungere mezzo etto di burro a persona, che non è esattamente quello che ci vuole per cittadini sedentari. Non c'è problema invece per chi vive in zone elevate e fa un lavoro duro: e in Trentino, nonostante l'evoluzione degli ultimi decenni, gente che fa questa vita ce n'è ancora. È la regione italiana con la più alta percentuale di popolazione residente oltre i settecento metri e tra quelle con maggiore aliquota di addetti all'agricoltura sul totale degli occupati. Questo fenomeno è alla base di molte tradizioni, anche culinarie; così, cucinare alla maniera trentina non è fare dell'archeologia gastronomica perché le antiche ricette sono tuttora in uso in numerose famiglie. I piatti invernali, per esempio quelli a base di cacciagione o i popolari «crauti con lucanica», sono piuttosto laboriosi, così come la preparazione di quella squisitezza che è il «vitello alle mele renette», in cui si impiegano le mele della Val d'Adige la cui vena dolce-acidula ammorbidisce il sapore della carne molto speziata.
Elemento fondamentale della cucina sono i funghi, di cui tutta la regione è ricchissima; Trento è forse il mercato più famoso d'Europa. Tutte le foreste delle montagne trentine sono generose produttrici di funghi d'ogni tipo. Nel centro storico di Trento, in piazza delle Erbe, durante la stagione propizia si svolge addirittura un mercato quotidiano di funghi. È un mercato di rilevanza storica, nel quale vengono commercializzate nell'arco dell'anno oltre duecento qualità diverse di funghi. Il raccolto viene portato direttamente al mercato tutte le mattine all'alba dai cercatori ed esaminato, prima di essere abilitato alla vendita da specialisti che eseguono accurati controlli. Quello che si trova esposto è quindi assolutamente sicuro. I titolari delle bancarelle di vendita sono anch'essi molto esperti e abili in particolare a suggerire diversi modi di preparare i funghi. Particolarmente produttiva è, nella provincia, la Valle dei Mocheni, che s'inoltra da Pergine Valsugana nella regione montana percorsa dal torrente Fersina. I funghi più diffusi nel Trentino sono in primo luogo il finferlo, nome volgare del Cantharellus cibarius, i vari tipi di porcino, dal Boletus edulis (detto in dialetto brisa) al Pînicola, il prataiolo e l'ovolo buono o Amanita caesarea.
Per quanto riguarda i primi piatti protagonisti sono i canederli di derivazione dell'Alto Adige. Con il pane si fanno molti piatti (minestre e dolci), ma bisogna tener presente che il pane trentino è fatto con la farina 0-0; perciò è bianchissimo e soffice. Si trova dai fornai anche pane scuro fatto con farina di orzo e di segale ma quello più diffuso che viene consumato e utilizzato - a differenza che in Alto Adige - è quello bianco.
Orzo e segale danno zuppe sapide e robuste, le patate sono magnifiche, la selvaggina dà luogo a piatti pieni di forza e di sostanza, la frutta e il miele sono lo spunto di dolci magnifici. Tra le verdure, posto d'onore va ai crauti, cavoli cappuccio fermentati, il cui sapore a tono acido ne fa il contorno ideale per le carni. Queste sono spesso speziate e cotte a lungo con vino e aceto. Tra le ricette, degno di citazione è il «gulasch», di origine ungherese, uno spezzatino a cui cipolle e paprika conferiscono un sapore forte, ma la più classica è forse il «capriolo in salsa con mirtilli», in cui la carne del selvatico, fortemente aromatizzata, viene cotta lentamente e poi "legata" con crema di latte, addolcita ancora dalla presenza della marmellata, servita a parte. Una stupenda sinfonia tra il dolce e l'agro, grandissimo piatto che può essere accompagnato dal purè di mele.
Molto usata è la carne di maiale che viene consumato fresco (famoso e ottimo lo «stinco al forno» che si fa anche con il vitello di latte) o negli insaccati, molti e particolarmente gustosi.
Il Trentino vanta un'antica tradizione nel settore delle carni lavorate e stagionate. L'origine è comune a tutte le popolazioni rurali e in particolare a quelle di montagna, dove vi è in maggior misura la necessità di conservare il cibo per i periodi freddi. Nel tempo l'affinamento delle lavorazioni ha portato a particolari fenomeni di specializzazione che riguardano non soltanto la carne dei maiali prima tenuti per il solo utilizzo domestico, poi in veri e propri piccoli allevamenti, ma anche quella dei bovini. In quest'ultimo caso però, mentre in altre zone alpine si è sviluppata l'arte di preparare "mocette" e bresaole, in Trentino si è rimasti fedeli alla "carne salada". Il territorio della provincia di Trento a maggior vocazione salumiera è la Val Rendena: qui sono nate le più famose dinastie di salumai.
Con il sangue del maiale (che viene macellato piuttosto giovane, quando ha da poco superato il quintale di peso) si fanno i "baldonazzi", versione particolare di sanguinaccio che si ottiene con il sangue di maiale mescolato con farina di castagne, noci, uva sultanina, lardo, noce moscata e altre spezie. È un alimento molto caratteristico, di sapore agrodolce, che affonda le sue radici nei trascorsi medievali della regione e nel sovrapporsi di esperienze verificatosi con il Concilio di Trento, che ha visto soggiornare nella città cuochi e scalchi al servizio dei prelati. I baldonazzi si fanno cuocere in acqua bollente e si servono come pietanza accompagnati da polenta, lenticchie, crauti o purea di patate. Ma si consumano anche tagliati a fettine e passati nel burro.
La "coiga" è un insaccato la cui composizione è uno dei numerosi esempi di accostamento di un prodotto povero a uno più ricco per moltiplicare la quantità di cibo in modo economico. Si tratta di un insaccato a base di carne di maiale alla quale, oltre alle tradizionali spezie, vengono aggiunte delle rape. L'impasto così ottenuto è immesso nel classico budello, viene affumicato per qualche giorno e successivamente stagionato per alcuni mesi.
Vi è poi il particolare lardo di montagna che si ottiene con la parte più alta della spalla del maiale, quella caratterizzata da una venatura rosa che rende il lardo particolarmente fragrante e saporito. Lo si può trovare nei migliori laboratori artigianali dei salumai della Val Rendena e delle altre valli trentine, nelle tre versioni, salato, aromatizzato o affumicato. L'utilizzo del lardo nelle preparazioni di cucina è sempre meno diffuso, mentre ha incontestabile successo la presentazione del pregiato salume insieme con gli affettati solitamente serviti come antipasto o come protagonisti di merende e spuntini nei rifugi. Il modo migliore di consumarlo è quello di tagliarlo sottilissimo e di stenderlo su fettine di pane fresco o tostato.
Tutti i piatti di carne, di funghi così come gli insaccati, i formaggi, il latte si mangiano con la polenta che presenta molte varietà e occupa un posto di primissimo piano. Se non altro perché, in tempi di miseria, ha sfamato intere generazioni. La si può trovare in tutte le vallate del Trentino, ma la migliore è sicuramente quella della Valle del Chiese, ottenuta con la famosa farina di mais "nostrano" di Storo. Questo particolare tipo di granoturco viene prodotto rispettando rigorosamente i cicli della natura, senza forzature agronomiche. Le pannocchie, di un bel colore rosso corallo, raccolte alle prime brume autunnali e successivamente asciugate in locali areati, vengono macinate lentamente in molini a pietra, che hanno il merito di ridurre i chicchi in farina finissima senza alterazioni di temperatura tali da disturbarne l'inconfondibile sapore. Tutti i ricettari trentini abbondano di formule per la preparazione della polenta. In un breve saggio di uno studioso trentino, Aldo Bertoluzza, vengono elencati i metodi più tradizionali, che vanno dalla polenta cotta nel latte a quella preparata con le luganeghe, dalla polenta più ruvida, fatta con farina macinata "alla paesana" (adatta per accompagnare pietanze di cacciagione), alla polenta più morbida detta "che corre sul tabiel (tagliere)" per indicarne la sostanza molto lenta, fino alle numerose varietà di polenta grigliata, fritta e brustolada, da unire a salse e intingoli diversi.
Vi è poi la polenta vera fatta solo con farina di grano saraceno che viene condita con burro e formaggio. E infine ricordiamo la «polenta di patate». La farina gialla di mais viene rosolata in un soffritto di cipolla e aggiunta in una pentola in cui sono già state portate a cottura alcune patate prive della buccia. Si comincia a mescolare fino a ottenere una sorta di polenta-purea molto morbida. Quando è cotta la polenta di patate viene servita calda con un intingolo di coratella o, più semplicemente, con salumi crudi, formaggi teneri. Talvolta anche con pesce fritto o baccalà.
Un piatto caratteristico offerto nei migliori ristoranti della città di Trento è la polenta calda con fette di formaggio vezzena fresco e ricoperta di finferli cotti in tegame. Una bontà assoluta anche grazie al formaggio che in tutto il Trentino è di qualità molto alta.
La quasi totalità del latte nella provincia di Trento viene raccolta dai caseifici sociali che operano sull'intero territorio. Parte del latte quotidianamente pastorizzato o sterilizzato viene destinato al consumo fresco, parte viene trasformato in gustosi formaggi. Dai grana marchiati "Trentino" alla "spressa" delle Giudicarie, dal "puzzone" di Moena al pressato di Merano al "Bergkãse", al "Graukãse", al vezzena e ad altri formaggi tipici, dolci o piccanti, teneri o stagionati. Arricchiscono l'assortimento la ricotta fresca o affumicata, la panna, lo yogurt e il burro. La produzione di formaggi, se in origine era casalinga e artigianale, oggi si avvale delle più moderne tecnologie, nel pieno rispetto delle rigorose norme igienico-sanitarie imposte dall'Unione Europea. La gamma delle specialità casearie del Trentino è vastissima: ogni vallata, in pratica, vanta un proprio formaggio.
Il formaggio trentino per eccellenza è l'Asiago, divenuto uno dei più famosi formaggi italiani: viene prodotto sull'omonimo altopiano al confine tra le provincie di Trento e Vicenza, ma interessa anche altre zone come l'area della provincia di Belluno. Esistono due sistemi di lavorazione. L'asiago d'allevo è formaggio semigrasso ottenuto da latte vaccino della mungitura serale parzialmente scremato per affioramento e mescolato con latte intero della mungitura mattutina. È a pasta semicotta con crosta liscia regolare giallo-bruna, pasta compatta con occhiatura sparsa di media dimensione, con un sapore fragrante e tipico che invecchiando acquista sapidità. Vengono prodotte forme cilindriche alte da nove a dodici centimetri con facce piane o lievemente convesse, del diametro fra i trenta e i trentasei centimetri e del peso fra otto e dodici chilogrammi. Secondo il periodo di stagionatura l'asiago si distingue in giovane, mezzano (sei mesi), vecchio (un anno) e stravecchio (da diciotto a ventiquattro mesi). I primi tre sono essenzialmente formaggi da tavola, con qualche utilizzo in alcune ricette tipiche; lo stravecchio viene invece utilizzato soprattutto come formaggio da grattugia. L'asiago pressato, invece, ha caratteristiche sostanzialmente diverse dal precedente: è infatti un formaggio grasso a pasta semicotta pronto al consumo dopo venti-quaranta giorni. La forma è cilindrica, alta da undici a quindici centimetri, con diametro da trenta a quaranta centimetri e un peso variabile tra otto e quattordici chilogrammi. È il tipico formaggio da tavola: colore bianco, pasta morbida, occhiatura marcata, sapore dolce che richiama il gusto del latte. Consumato in prevalenza come formaggio da tavola, l'asiago ha qualche applicazione in cucina non solo attraverso l'impiego della grattugia. Si prepara per esempio un «pasticcio all'asiago» costituito da pasta corta, in genere fusilli o rigatoni, bollita e scolata al dente, condita con un intingolo di pomodoro e salsiccia, arricchita da asiago fresco a cubetti e da asiago stravecchio grattugiato. In un'altra preparazione l'asiago pressato è protagonista, tagliato a listarelle, di un'insalata con spinaci crudi condita con olio insaporito all'aglio.
Formaggio tipico della Val di Sole è il Casolet lavorato in forme di circa due chili. Il nome viene dall'originaria abitudine di prepararlo in casa. Lo si ottiene dal latte intero di mucca ed è pronto dopo venti giorni di lavorazione. Ma se è prodotto in malga, durante il periodo estivo, è più saporito e può reggere ottimamente anche una stagionatura di sei mesi. In Val di Sole, che divide con la vicina Valle di Non il primato di una considerevole produzione di mele, viene proposto nelle trattorie un piatto interessante, suggerito come pietanza fredda: in una ciotola di legno si riuniscono, tagliati a cubetti, il casolet, delle mele "golden delicious", alcuni gherigli di noci sminuzzati e si condisce il tutto con olio, limone e sale (un tempo e talvolta ancora con pancetta a dadini sciolta sul fuoco).
Il grana trentino fa parte della nobile famiglia dei grana ed è considerato tra i migliori in assoluto, soprattutto per il latte impiegato, che proviene da bestiame altamente selezionato e alimentato con i foraggi profumati dei pascoli alpini e mai con prodotti insilati. Il disciplinare di produzione autorizza l'impiego di tre soli ingredienti: latte, caglio e sale. È vietata l'aggiunta di qualsiasi conservante. Prima di essere messe sul mercato le forme di grana trentino devono essere sottoposte a una stagionatura di almeno quindici mesi e il marchio "Trentingrana" viene apposto solo dopo un'attenta verifica da parte dei tecnici del Consorzio di tutela. Il grana trentino è un formaggio semigrasso a pasta cotta, finemente granulosa, con caratteristica frattura radiale a scaglie e con occhiatura praticamente inesistente o, talvolta, appena percettibile. All'aspetto e al sapore non è dissimile dalle altre versioni di formaggio di questo tipo prodotte nella Pianura Padana e nella zona attorno a Parma e Reggio Emilia. Proposto anche come formaggio da tavola e costante presenza in occasione di ogni manifestazione popolare legata alla degustazione dei vini della regione, il grana ha tuttavia la sua prevalente destinazione come formaggio da grattugia, impiegato in molte preparazioni della cucina tipica trentina, dagli «strangolapreti» alle tajadele smalzade, dalla polenta smalzada ai canederli. Entra anche in un caratteristico contorno estivo composto da zucchine crude affettate sottilissime, scaglie di formaggio, mandorle tostate e pesate nel mortaio, condite tutte insieme con olio, succo di limone e sale.
La produzione e il consumo di dolci è assai ricca e diffusa. Il lungo periodo trascorso come provincia dell'impero asburgico ha lasciato sia in Trentino sia in Alto Adige una radicata tradizione mitteleuropea di arte dolciaria con il classico strudel di mele e sontuose torte alla crema, al cioccolato (come la Dobos), alla marmellata, capaci di indurre in tentazioni continue. Nell'uso domestico si sono sviluppate invece ricette più semplici, legate all'utilizzo dei prodotti offerti dall'agricoltura locale, e oggi presenti in tutte le pasticcerie e nei panifici della regione.
I «fiadoni» trentini sono pasticcini dolci di pasta imbottiti di mandorle pestate, pane grattugiato, miele, rhum, garofano e cannella. Vengono cotti in forno. Sono uno dei dolci tipici nelle pasticcerie di Trento e dintorni. Il nome deriva dal tardo latino flado (tedesco fladen), che sta a indicare qualcosa di gonfio.
Lo strudel è un classico dolce austriaco che il Trentino ha accolto con qualche variante: fondamentale il fatto che viene confezionato con sole mele, uvetta e pinoli, insaporito con rhum e cannella in polvere, mentre gli ingredienti di quello austriaco dell'Alto Adige sono più vari perché possono comprendere albicocche, marmellata, cioccolata ecc. Il termine strudel in tedesco sta per "gorgo" e indica qualcosa che gira su se stesso, esattamente come la delicata pasta dello strudel che avvolge arrotolandosi il proprio ripieno.
Ma il dolce simbolo del Trentino è lo zelten. Era un tempo il dolce natalizio per eccellenza, oggi è produzione costante di panifici e pasticcerie, assurto al ruolo di souvenir gastronomico per chi viene in visita nella regione. Si tratta della versione raffinata del pane alla frutta, già presente nel repertorio di tutti i fornai trentini e altoatesini. Non esiste un solo «zelten», ma più versioni, ognuna legata a ricette tramandate di generazione in generazione. Normalmente nell'impasto di lievito, farina e latte con zucchero e burro si aggiungono gherigli di noci, fichi secchi, uvetta sultanina, pinoli e canditi. A preparazione ultimata (molto lunga per le varie fasi di lievitazione) viene decorato con mezzi gherigli di noci e mandorle, quindi infornato. La forma è anch'essa affidata alla fantasia del creatore: si possono trovare a cuore, rettangolari, rotondi. Fino a qualche decennio fa in occasione delle feste natalizie tutte le famiglie trentine gareggiavano nel produrre «zelten» conservando gelosamente la propria ricetta: la preparazione di questo dolce, che si conserva per varie settimane, segnava l'attesa del Natale vissuto come festa di famiglia da vivere nella casa ben riscaldata, rallegrata dalla semplicità di ciò che veniva confezionato sia come doni natalizi sia come cibi: in casa si viveva la gioia dell'attesa e della preparazione della festa a cui collaborava tutta la famiglia: cibi, presepe, lavori di ricamo, uncinetto, maglia, disegni, letterine; un tripudio di piccole cose ancora ben lontane dal consumismo che negli anni si è impadronito di queste festività sminuendo l'originale valore religioso.
Rovereto e dintorni
Rovereto è una cittadina in provincia di Trento situata nella Val Lagarina (fiume Adige) alla confluenza del fiume Leno. Le campagne sono coltivate a tabacco, cereali e vino.
Le tradizioni culinarie di questa terra si distinguono da quelle del capoluogo perché delle due culture che hanno influenzato la vita delle genti di questi territorio, contribuendo a formarne tradizioni e carattere, quella germanica (fatta di rigore, ordine e precisione) e quella veneta, legata ai fasti della Serenissima, questa seconda è quella che ha predominato nell'area di Rovereto lasciando tracce importanti sia nel carattere degli abitanti sia nell'alimentazione che possiamo associare a quella della zona del Garda trentino il cui centro più importante è Riva. Questa cittadina assieme a Torbole (sull'omonimo lago) ha il vanto dell'unica produzione di olio di tutta la regione consentita dal clima mite. Una fascia di terra che si stende per pochi chilometri sui quali vengono coltivati circa centomila ulivi delle varietà "casaliva", "frantoio" e "leccino". L'olio prodotto è squisito e leggerissimo: si ottiene con spremitura a freddo, ha un'acidità molto bassa, il colore è decisamente sul verdognolo brillante. Tutta la produzione viene assorbita localmente, connotando la cucina di questa parte del Trentino in cui l'uso del burro è più limitato.
Questa zona vanta anche una tradizione consolidata nella coltivazione degli ortaggi: patate, carote, rape rosse, cavoli, fagioli e cipolle costituiscono una voce importante dell'economia di certe vallate. Capitale indiscussa di questa produzione è la Valle di Gresta, che ha saputo sfruttare al meglio le potenzialità di un territorio particolarmente vocato alla coltivazione a cielo aperto e con sistemi biologici. Lasciata la statale che da Rovereto porta sul Lago di Garda nei pressi di Loppio, salendo verso Passo Bordala lungo i quindici chilometri che attraversano l'intera Valla di Gresta, si possono osservare centinaia di campi coltivati a ortaggi. A quelli tradizionali (patate, carote, verze e cavoli cappucci, utilizzati nella preparazione dei crauti) si sono affiancati negli ultimi anni nuovi prodotti (cetrioli, tegoline, sedano nella duplice versione precoce e tardivo, zucchine, radicchio, lattughe, porri, cipollotti, prezzemolo, basilico).
I piatti tipici non sono molti, ma in genere possiamo affermare che rispetto alla cucina della rimanente parte del Trentino, quella roveretana è più leggera, con sapori meno forti e decisi; una gastronomia in cui il pesce proveniente dai laghi ha un suo posto importante, in cui gli apporti della cucina veneta sono stati rielaborati localmente.
Un esempio è dato dal «baccalà alla cappuccina»; lo si cucina con cipolla, alloro, uva passa, pinoli, zucchero, cannella, pepe, acciughe e pane grattugiato e il risultato di questa manipolazione esce dal forno con un aroma più ricco e completo di quello del corrispondente piatto veneto.
Posto d'onore spetta alla trota: una ricetta tipica è quella che la vede fritta e carpionata con cipolla, aceto, prezzemolo, menta, una strizzatina di scorza d'arancia e di limone e uva sultanina. Reminescenze venete si trovano anche nella preparazione dell'anguilla, rosolata nel burro con abbondante cipolla e poi cotta a lungo in una miscela di acqua e vino bianco dove si tiene sospeso un fagottino ben legato di aromi (sedano, prezzemolo, cannella). I pezzi in cui è tagliata l'anguilla vengono poi messi in una salsa che si ottiene sbattendo nel sugo di cottura dei tuorli d'uovo.
Naturalmente però questa zona non è esente da influenze nordiche, seppure va notato che anche le denominazioni non risentono qui di quelle di lingua tedesca.
Un esempio sono i «probusti», specialità di Rovereto: salsicciotti di maiale e manzo giovane, con una generosa dose d'aglio, insaccati in budella ovine e tenuti ad aromatizzarsi al fumo di ginepro o di betulla. L'origine di questo piatto è da ricercarsi al di là della frontiera: il termine "probusti" è una deformazione di "würstel".
Ricordiamo la famosa "carne salada", che è un piatto antichissimo, apprezzato fin dai tempi del Concilio di Trento, il summit politico-religioso che per diciotto anni (1545-1563) fece di Trento una sorta di caput mundi. La preparazione di questa specialità non presenta particolari difficoltà. Fondamentale è il taglio di carne usata e altrettanto importanti sono gli ingredienti utilizzati per la salamoia: sale, pepe, aglio, alloro, rosmarino, ginepro e vino bianco. La tecnica di lavorazione è semplicissima: la carne fresca viene adagiata in piccoli tini di legno e conservata in salamoia per venti giorni. Protagonista indiscussa di tutte le merende e accompagnatrice di epici assaggi di vino rosso nelle osterie più tradizionali, la carne salada, specialità del Basso Trentino, ha un tipico trattamento: tagliata a fettine sottili, viene "saltata" sulla piastra e servita con un contorno di fagioli lessi irrorati con un filo d'olio.
Un primo piatto particolare sono gli «strangolapreti», gnocchi di verdure (per lo più spinaci e/o bietole), farina, uova, formaggio grattugiato e noce moscata piuttosto consistenti che vengono conditi con sugo di arrosto e parmigiano. Il truce nomignolo nasconde forse una forma di protesta popolare maturata nei secoli di dominio non sempre tenero dei principi-vescovi, protesta che nel Roveretano si può supporre essere esistita proprio per il carattere dei suoi abitanti da sempre più liberi e goderecci rispetto a quelli delle altre zone del Trentino.
Nell'ambito della cucina povera ricordiamo due piatti un tempo molto diffusi: il «polmone in guazzetto», una sorta di spezzatino insaporito con cipolla e pomodoro che si accompagnava alla polenta, così come il «tonco de pontesel» che letteralmente significa "sugo di balcone". Piccoli pezzetti di carne cucinata con molta cipolla e farina così da formare parecchio sugo necessario per condire tanta polenta; questo sugo era detto «de pontesel» perché veniva spesso allungato con l'acqua la cui fontanella spesso fino a tutto l'Ottocento si trovava nelle case povere sui balconi o sui ballatoi.
Fra i formaggi ricordiamo il "bagoss". L'origine è bresciana, dal paese di Bagolino, centro montano a ottocento metri di quota nella Valle del Caffaro, ma la produzione si estende anche in buona parte dell'Alta Valle del Chiese, in particolare nei dintorni della borgata di Storo, tanto da farlo considerare anche un formaggio trentino. È a pasta dura, semigrasso, ottenuto da latte vaccino con una tecnologia complessa ed esige una qualità di latte eccellente derivata dall'alimentazione delle mandrie al pascolo estivo ricco di fiori ed erbe aromatiche. L'aroma del bagoss è in effetti assolutamente unico. Le forme cilindriche sono alte circa quindici centimetri, hanno un diametro attorno ai venti centimetri e un peso variabile da dodici a quindici chili. Il periodo di stagionatura va da un minimo di tre mesi a un massimo di due anni. La pasta, compatta, con occhiatura minuta o del tutto assente, ha un iniziale colore paglierino che con l'età tende ad assumere tonalità più ambrate con lievi venature verdastre. Giovane è un classico formaggio da tavola, invecchiato è magnifico con la polenta, tagliato a fette e messo per qualche minuto sulla griglia. È anche uno splendido formaggio da grattugia per chi ama i sapori un po' forti.
Per quanto riguarda i dolci, anche qui si possono trovare alcuni dolci di origine austriaca dallo strudel ai krapfen, ma a questi si affiancano torte (poi diffuse in tutta la regione) più italiane come la «torta de fregoloti», fatta con burro, mandorle, zucchero e poca farina, così chiamata perché si mette nella tortiera a pezzetti lavorati con le mani denominati in dialetto "fregoloti" (= sbriciolati). Una torta bassa, piuttosto secca che è difficile tagliare a fette. Dolce tipico da intingere nel vino amabile, è presente in tutte le pasticcerie del territorio e viene prodotta anche nelle panetterie.
Il dessert nei pranzi trentini ha un posto di rilievo anche nei pasti quotidiani: dominano le crostate fatte con le marmellate - di tutti i tipi dalle mele alle cotogne, alle carote, ai pomodori e alle castagne - confezionate in casa (per una lunga tradizione legata alla laboriosità della donna, alla necessità di conservare i prodotti, all'uso di accompagnare la carne con salse e confetture varie) e la torta di mele che segue varie preparazioni più o meno ricche ma sempre squisite.
Le mele ed i dolci
La frutta e i dolci occupano una parte importantissima del panorama gastronomico trentino. I frutti di bosco sono presenti in grande quantità , sotto forma di dolci od accompagnati con il gelato, ma è la mela il frutto più rinomato della regione. In Val di Non ne vengono coltivate moltissime varietà, tra le quali la Golden delicious, dolce, dal colore giallo; la Renetta, ugualmente gialla ma dalla polpa sugosa ed acidula,; la Stark, rossa; la Granny, verde e dalla polpa croccante. Ottime a fine pasto, vengono utilizzate anche per condire risotti e carni. Da ricordare le celebri frittelle di mele, servite come dolce ma anche in compagnia di piatti di maiale o arrosti. Il Trentino poi è una vera e propria mecca per i patiti dei dolci. I golosi possono sbizzarrirsi nella scelta tra i prodotti della tradizione pasticcera austriaca e tedesca. A partire dallo strudel, involucro di pasta sfoglia con un ripieno a base di mele, uvetta, pinoli, pangrattato rosolato nel burro e profumato di cannella, per proseguire con lo zelten, tipico dolce natalizio composto da datteri, fichi secchi, uva sultanina, pinoli, noci, cannella, grappa e cognac mescolati in pasta di pane di segala. E poi ancora i krapfen meranesi, soffici bocconi alla marmellata, alla crema od ai semi di papavero; la torta 'Andrea Hofer' di Lana, tre strati di marzapane , cioccolato e spuma d'uovo ricoperti di panna montata; l'originale torta tirolese di prugne.
I vini
Numerosi i vini Doc prodotti nella regione. Ricordiamo tra i rossi il Merlot ed il Cabernet, tra i bianchi il Pinot, il Riesling, il Traminer, lo Chardonnay. Buoni anche gli spumanti.
STORIA DELLA CUCINA TRENTINA
Per secoli il divario fra la cucina povera di questa terra e quella dei potenti fu grandissimo: nelle campagne la pellagra ha imperato per secoli, conseguenza della mancanza di nutrimento e di vitamine. La polenta nelle sue svariate forme - di mais, di patate, di grano saraceno - è stata con le patate l'unico nutrimento dei contadini che durante l'estate la consumavano con pere selvatiche lesse, con lardo fuso, con rape, ma anche con nulla e nei mesi invernali - quando andava bene - giorno dopo giorno con i crauti, divenuti ormai famosi, che si ottengono con il cavolo cappuccio. Un vegetale di origine cinese giunto in tutta la zona del Trentino Alto Adige forse al seguito di lontane trasmigrazioni, il cavolo è sempre stato coltivato abbondantemente e conservato per i mesi invernali tagliato a listerelle sottili e messo in un mastello di legno a strati alternati con sale, cumino e ginepro, dove deve macerare per almeno due mesi. Polenta, crauti, lardo, minestrone e un po' di formaggio e burro fatto in casa sono stati i cibi che - quando c'erano - hanno nutrito le popolazioni di questa terra, senza mutamenti o arricchimenti, senza elaborare varianti perché ogni altro prodotto (formaggio, uova, funghi ecc.) veniva venduto per le poche lire indispensabili alla sopravvivenza.
Solo dopo l'ultimo conflitto mondiale l'industrializzazione del paese ha portato il benessere diffuso che oggi caratterizza questa gente laboriosa e fortemente legata alle tradizioni locali.
Ben diversa la realtà delle corti, dei ricchi prelati, dei conti vescovi e dei potenti di questa terra chiusa nei suoi confini nei quali erano consumate soprattutto le carni provenienti dalle Alpi come ci testimonia Bartolomeo Sacchi detto il Platina (1421-1481) nel suo De honesta voluptate et valetudine che scrive a questo proposito "Sbagliano coloro i quali ritengono che la lepre abbia preso il nome dalla leggerezza dei piedi, come dice Varrone, poiché il vocabolo è antico e d'origine greca. Vi sono due specie di lepre, la maggiore e la minore. La maggiore vive all'aperto, sulle Alpi, sui colli e nei luoghi pianeggianti ed offre agli uomini il piacere della caccia. La minore per lo più trascorre la vita sotto terra, in cunicoli dai quali ha preso il nome. Quest'ultima non si può prendere se non è indotta ad uscire dalla terra. D'inverno gli abitanti delle Alpi si nutrono di lepri, anche di grosse proporzioni."
Il momento di maggior splendore per la cucina trentina fu certamente il lungo periodo del concilio di Trento convocato per fronteggiare la riforma luterana che con varie vicende e sospensioni si protrasse dal 1545 al 1563: era il momento in cui trionfavano i ricchi piatti rinascimentali, in cui i banchetti si protraevano anche per più giorni, in cui la sontuosità delle corti - indipendentemente se laiche o religiose - era di prammatica. Un momento in cui ricco fu l'apporto di diverse esperienze gastronomiche perché in questi anni vescovi, prelati e cardinali si riunirono nella cittadina di Trento seguiti da cuochi e ciambellani addetti alla preparazione dei banchetti nei quali comparivano cibi e preparazioni di molti paesi. Ancora oggi, ad esempio, per le grandi occasioni è in uso il "Pasticcio di maccheroni" probabilmente proveniente dalla corte di Ferrara, ma già presente nell'antico Libro de arte coquinaria di Maestro Martino che visse e operò a Roma - dopo essere stato cuoco personale del Reverendissimo Monsignor Camorlengo e Patriarcha de Aquileia - intorno alla metà del Quattrocento. Nella sua opera ci tramanda la seguente ricetta: "In prima togli carne magra quella quantità che ti piace et battila bene minuta col coltello; et togli de bon grasso de vitello et mischialo bene con la dicta carne, giongendovi de bone spetie secundo il communo gusto o secundo il gusto del patrone. Dapoi fa' le tue croste de pasta secundo l'usanza di pastelli et ponilo accocere nel forno. Et come siano cotti togli due rossi d'ova, de bono agresto, un pocho di brodo grasso, et un pocho di zafarano et batti bene queste cose insieme, et ponele nel pastello. Et se tu non sapessi fare le croste cocevo ne la padella come se fanno le torte. Et nel dicto pastello si pò mettere uno o doi pollastri overo pippioni, o capponi o qualunque altro ucello integro, o tagliato.".
Oggi i maccheroni vengono bolliti a metà cottura e conditi con un ricco intingolo a base di piccione, quindi raccolti in un involucro di pasta dolce per completare la preparazione in forno.
Ma nei banchetti i trionfi più lussuosi erano certamente quelli legati alla cacciagione che per lunghi secoli nelle alture del Trentino fu abbondante sia di volatili (ricordiamo il Gallo cedrone, la cui cattura - che avveniva in particolari zone, in particolari momenti dell'anno e in particolari ore - era l'orgoglio di ogni cacciatore), sia di animali del bosco come daini, camosci e caprioli, spesso cucinati sui carboni ma spesso consumati pasticciati con burro, formaggio e latte, come indica una vecchia ricetta per il cosciotto di caccia:
"Mettete in gratella, sui carboni, un coscio di capriolo, o camoscio, o comunque di animale dal sapore forte (ad esempio, capretto), piccottato di erbe aromatiche, come salvia, rosmarino, popolino, cumino, ma niente grasso.
A parte fate un impasto di patate lesse schiacciate, pepe, e formaggio di montagna, tipo Asiago, grattugiato; preparate con esso dei fusi o cilindrotti grandi un dito, e dopo averli passati nella farina, bianca o gialla, gettateli in abbondante acqua salata.
Quando vengono a galla, e quindi sono cotti, li metterete in una teglia in cui avrete disposto in abbondante burro anche la carne arrostita tagliata a tocchi, insieme a latte e formaggio, sempre grattugiato, amalgamati tra loro.
Lasciate insaporire la carne, a tenue calore ("accanto alla fiamma del caminetto"!) e servite."
Ma tutta la carne era alla base delle grandi tavole, anche quella derivante dall'allevamento dei bovini e degli ovini, tanto che la carne salata per necessità di mantenimento è rimasta un piatto apprezzatissimo fino ai giorni nostri. Per la preparazione di questa carne caratteristica della zona è fondamentale il taglio e gli ingredienti usati per la salamoia: sale, pepe, aglio, alloro, rosmarino, ginepro e vino bianco. In questa salamoia la carne deve essere conservata per venti giorni, adagiata in tini di legno. Tagliata a fettine sottili, viene passata sulla piastra e servita spesso con un contorno di fagioli lessi irrorati con un filo d'olio oppure cotta in tegame con i crauti.
Ma la carne più lavorata e consumata nel Trentino è certamente quella di maiale con il quale si realizza una vastissima gamma di insaccati consumati un tempo come oggi durante tutto l'anno, grazie alle particolari condizioni climatiche della zona. E del maiale veniva sfruttato proprio tutto, dal coscio al sangue, al codino, alle cotenne.
Ma alle corti non si disdegnavano anche i cibi più poveri, se dobbiamo credere a quanto scrive in pieno Rinascimento Bartolomeo Scappi nella sua Opera a proposito della minestra d'orzo, ancora oggi piatto tipico della cucina povera del Trentino dove molto varia è la coltivazione dei cereali.
Scrive lo Scappi: "Per fare un'orzata d'orzo commune. Piglisi l'orzo di quello che si dà ai cavalli, sopra tutto sia nuovo e non abbia tristo odore: pestisi nel mortaro e cavisi la scaglia; facciasi bollire in una pignata nuova che non abbia tristo odore, con acqua, e schiumisi con cocchiaro di legno, lasciandolo finire di cuocere; et abbiasi avvertenza che tal orzo vuol più cuocitura dell'orzo mondo, e per ogni due libre d'orzo otto libre d'acqua passisi per la stamigna. Si ha da sapere che delle volte in Roma si porta certo orzo di terra tedesca rotto, il quale ha del gialletto, e d'esso si fa orzata e minestre. Molte volte usava di pigliarne Pio IV, Pontefice massimo nel '64."
Dunque attraverso le corti papaline avvenivano anche scambi di prodotti e di preparazioni: ricordiamo l'importanza assunta dal famoso Concilio di Trento anche per quanto riguarda usi e costumi culinari, importazioni di prodotti, soprattutto di vini, abitudini legate a particolari cerimoniali. Furono per la città di Trento anni di grande movimento e di contatti, soprattutto con i più alti esponenti della Chiesa cattolica che dovevano essere trattati in ossequio alle più accreditate regole, che trovano riscontro nell'opera di Vincenzo Cervio pubblicata per la prima volta a Venezia nel 1581 con il titolo Il Trinciante. In essa assieme a molte altre indicazioni si trovano capitoli quali: "Il modo che si deve tenere in ricevere un Papa, un Re, e ogn'altro gran Principe tanto dalle Comunità, quanto dalli Signori particulari."
In questo capitolo il Cervio scrive fra l'altro: " Si provederà anco la tavola dell'illustrissimi signori cardinali capace secondo al numero di essi, quanti vogliono sempre per la maggior parte mangiare da loro istessi. Questa tavola la vuole almeno due scalchi e dui trincianti, con dodici gentilomini scudieri che portino in tavola. Due credenzieri con due aggiunti e due garzoni; un bottigliere con due garzoni che continuamente vadino per vino, neve e acqua fresca inanzi e in dietro, dove farà bisogno con prestezza. Una cucina secreta sola per li cardinali, con dui cuochi, due aggiunti e due garzoni e un pasticcere col suo aiutante."
E continua dimostrando una grande competenza puntuale anche dei cerimoniali legati ai più alti esponenti della chiesa: "Un'altra tavola per li prelati, quali sogliono essere da dieci o dodici al più, e si apparecchierà in un'altra stanza appartata e si farà servire nell'istesso modo che si è detto delli signori camerieri segreti con altre tante genti e officiali, che sarà a bastanza, e si serviranno nell'istessa cucina delli cardinali, a due o tre piatti, conforme alla qualità de' prelati che vi saranno. Un'altra tavola longa che vi capino (=vi stiano) almeno quaranta gentiluomini che saranno li capitani delle guardie, lance spezzate (=guardie del corpo), capellani, scudieri, forieri, aiutanti di camera di Nostra Santità e altri gentiluomini di portata (= di qualità), che accompagnano Nostra Santità."
All'opera di Vincenzo Cervio seguì quella del tedesco Mattia Giegher dal titolo Li tre trattati, molto conosciuto in tutto il settentrione del nostro paese, e soprattutto nella terra trentina.
Il Giegher è "bavaro di Mosburc", operante al servizio della "nazione alemanna de' Signori Legisti dell'Università di Padova"; scrive in lingua italiana, così come italiane sono le fonti a cui si rifà, italiani sono i costumi e i gusti a cui l'esposizione della materia viene uniformata. Il valore primario della sua opera è dato dalla eccezionalità delle illustrazioni, dovute a un incisore italiano che al pregio della varietà aggiunge quello della puntuale aderenza ai procedimenti tecnici impliciti nella pratica dei maggiori responsabili nell'arte di allestire mense e di assolvere agli adempimenti che abitualmente vi erano richiesti.
Ma quando in pieno Seicento il predominio dell'arte della cucina passa da quella italiana a quella francese, la zona del Trentino rimane esclusa dalle nuove influenze per le quali si torva impreparata. La cucina trentina rimane fedele ai più tradizionali cibi: gli insaccati, la carne di maiale, i formaggi, la polenta, i crauti e i canederli nelle più svariate preparazioni e la carne di manzo "salada", un piatto antichissimo, apprezzato fin dai tempi del Concilio di Trento, il momento storico che - come abbiamo detto - fece di questa città una sorta di caput mundi.
Solo nell'ultimo secolo appena trascorso, anche in seguito dell'annessione di questa terra al Regno d'Italia, la cucina trentina si è arricchita di alcuni cibi che nel resto del nostro paese sono fondamentali come ad esempio la pastasciutta per la quale nel Trentino manca del tutto la tradizione della pasta casalinga, sostituita appunto dai canederli e da una buona varietà di gnocchi.
Fra le specialità tipicamente trentine ricordiamo lo smacafam, torta salata condita con pezzetti d'aglio e ricoperta di fettine di luganega fresca, un salamino di carne di maiale tipico che si differenzia da ogni altro. Un piatto tradizionale per carnevale molto adatto da accompagnare ad allegre bevute, diffuso in tutte le classi sociali.
Appartiene sempre alla cucina povera il gröstl, un piatto per recuperare l'avanzo di carne che viene tagliato a pezzetti e ripassato nel burro assieme a tocchetti di patate lesse spolverate con un battuto di erba cipollina. Così come le patate lesse rifatte alla trentina in una padella con burro, pestate e ricoperte di prezzemolo.
Fra i piatti ricchi ricordiamo la lepre alla trentina, un esempio di salmì agrodolce introvabile altrove; la carne viene cotta in tegame dopo essere stata immersa per almeno ventiquattro ore in una marinata di vino e aceto con spezie di tutti i tipi e parecchia cipolla, pinoli e uva sultanina.
Particolare anche il pollo ripieno, uno dei piatti più apprezzati, farcito di noci, pinoli, pane inzuppato nel latte, fegato, uova e poi bollito. Si serve con varie salse, ma soprattutto con la mostarda di mandarini particolarmente saporita e bella da vedere.
I pesci sono pochi: trota salmonata di torrente cotta in vari modi, affumicata e non, a anguilla alla trentina tagliata a pezzi, rosolata nel burro con cipolla e altri aromi e apprezzatissimo lo stoccafisso al forno cucinato con patate, burro, olio, aglio, cipolle, sedano, latte, sale e pepe, servito con la polenta.
I dolci sono comuni a quelli dell'Alto Adige anche se con qualche variante: lo strudel è fatto solo con le mele; i krapfen che anziché fritti possono essere ben lievitati e cotti al forno risultando così molto più leggeri; tipicamente trentina è la torta di pane raffermo macerata nel latte mescolato a frutta, farina, zucchero e noci; e così la torta di fregolotti di farina bianca, burro, zucchero e mandorle e infine - tanto per citare solo i più diffusi - il dolce di Natale, lo zelten che in Alto Adige è fatto con la farina di segale mentre nel Trentino con la farina bianca, uova, lievito, canditi e molta frutta secca, ricoperto di mandorle tagliate a metà.
Quella trentina è dunque una cucina fortemente caratterizzata dalla posizione geografica, dal clima e dalla storia del paese; nonostante il fiorente turismo rimane per lo più ancora oggi ancorata alle più antiche tradizioni (ancora oggi si consumano le carni con marmellate e mostarde dolci, tanto per fare un esempio tra i più eclatanti), in grado di offrire i piatti tipici secondo le ricette d'altri tempi che sono state gelosamente conservate.
È la zona della regione Trentino Alto Adige che costituisce una individualità geografica ben definita e che corrisponde alla provincia di Bolzano. Merita una trattazione a sé perché è terra di lingua, usi, costumi, tradizioni, in una parola cultura tedesca a cui la popolazione è molto legata. Gli altoatesini infatti si sentono di appartenere al Südtirol (denominazione con cui gli Austriaci designano questa zona) e non certo all'Italia che ancora oggi considerano terra straniera verso la quale nutrono un vivace senso di contrapposizione mista a diffidenza che non accenna a diminuire neanche come conseguenza della fiorente industria turistica. Una realtà particolare con tradizioni anche culinarie che si tramandano presso che intatte da secoli, che sono difese da influenze esterne per volontà della popolazione che vuole mantenere la propria identità tedesca che si manifesta a tavola come nei riti matrimoniali o funebri, nelle feste come nella più normale quotidianità.
È interessante notare come anche i cibi che la cucina dell'Alto Adige ha in comune con quella del Trentino sono differenti, perché le preparazioni sono molto diverse: basti pensare ai knödel che vengono fatti in molti modi con svariati ingredienti e per lo più con pane di segale e sono un cibo quotidiano per gli altoatesini, mentre gli italianizzati canederli, che seguono un'unica ricetta alla quale sono concesse poche varianti, sono realizzati con pane bianco e si servono o in brodo o con il gulasch.
Differenze che si colgono anche nell'apertura ad accogliere cibi nuovi verso i quali in Alto Adige le resistenze sono forti: e - anche quando i nuovi cibi sono entrati - i trentini sono rispettosi delle preparazioni originarie, mentre i tedeschi ancora oggi considerano ad esempio gli spaghetti un contorno. In questa zona è bene dunque limitarsi a consumare i cibi locali, del resto squisiti e resi più tollerabili dal clima.
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