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DIZIONARIO DEI MODI DI DIRE
Dizionario o vocabolario dei modi di dire che descrive in poche righe la descrizione di esclamazioni per dire in modo breve e simpatico un evento accaduto..

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dizionario o vocabolario: Dei modi di dire.
DIZIONARIO DEI MODI DI DIRE
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Dizionario dei modi di dire

Definizione
Il dizionario dei modi di dire è una frase breve per affermare, esprimere un evento in modo divertente. Qui trovi la definizione dei modi di dire classificata per ordine alfabetico da poter utilizzare nella quotidianità della vita, un vasto dizionario o vocabolario per ogni evento. un esempio: acqua in bocca! per esprimere di non dire nulla o di tacere.

Essere in (o fare la) luna di miele
In senso figurato, e spesso in tono scherzoso, si dice di un periodo particolarmente felice nei rapporti tra due persone o gruppi. Che propriamente è il primo mese di matrimonio, o quella parte di esso trascorsa dagli sposi in viaggio. Era antico costume, sembra, che durante il fatidico mese i novelli sposi bevessero una pozione a base di miele diluito. Si narra che Attila, re degli Unni, morì soffocato per aver trangugiato troppo avidamente la portentosa bevanda dopo un matrimonio particolarmente sospirato, nel 453 d.C
essere (o segnare) sul libro nero
Essere e, rispettivamente, considerare inviso, sospetto, nemico, da vigilare con cura e da punire alla prima occasione. Era così chiamato il registro sul quale, durante la Rivoluzione Francese, venivano annotati i nomi dei sospetti “nemici del popolo”.

Essere al settimo cielo
Non stare più nella pelle dalla contentezza. Secondo la concezione tolemaica, accettata ed elaborata dalla Chiesa fino al XVI secolo, la Terra era centro dell’universo, circondata da nove (e poi dieci) “cieli”, immaginarie sfere concentriche di grandezza sempre maggiore, lungo le prime sette delle quali rotavano la Luna, Mercurio, Venere, il Sole, Marte, Giove, Saturno. Nell’ottavo cielo stavano le stelle fisse (il “firmamento”); il nono era il cielo di Dio. Il settimo cielo era il più alto grado di elevazione. di avvicinamento alla gioia celeste, concepibile per uomini in carne e ossa.

Essere nel limbo
Trovarsi, essere tenuti in uno stato di penosa incertezza, o in disparte. Nel limbo, secondo la teologia cattolica, stanno le anime non mondate dal peccato originale e che perciò non possono godere della contemplazione di Dio.

Essere una lenza
Locuzione gergale di origine romanesca, usata per lo più scherzosamente con riferimento a un furbacchione, uno che ci sa fare, che la sa lunga.

Essere (o fare) la gatta morta
Comportarsi con indifferenza sorniona, fingersi ingenuo e distratto per non destare i sospetti dell’avversario e giocarla d’astuzia. Come fanno i gatti in agguato, che fingono di dormire ma che al momento buono balzano e ghermiscano 1’ incauto uccellino che si è avvicinato troppa. Locuzione di significato simile, nell’uso comune, ad acqua cheta..

essere un (o fare il) ganimede
Essere uno che si veste e si comporta in modo troppo ricercato. Il mitologico Ganimede, bellissimo giovane, fu rapito dall’aquila di Giove, o da Giove sotto forma di aquila, e fatto coppiere degli dei. La locuzione è sempre, più o meno, spregiativo.

Essere il gallo della Checca
Essere benvoluto, ammirato, conteso dalle donne, o credere di esserlo e comportarsi di conseguenza: vale a dire un don giovanni nel primo caso, un molesta pappagallo della strada nel secondo. Egli è il gallo della Checca, / tutte vede, tutte becca, canta il dottor Dulcamara neL ‘elisir d’amore di Gaetano Donizetti.

Essere una frana
Entrata dal linguaggio giovanile in quello fa-miliare secondo un processo di evoluzione molto frequente, questa locuzione si usa a proposito di persona che non riesce a combinare nulla di buono o di avvenimento risoltosi in un fiasco clamoroso.

Esercito di Franceschiello
Si dice, ironicamente, di un’organizzazione, militare o d’altro genere, che suscita compatimento e ilarità per la sua inefficienza. Tale era la fama, costruita attraverso decine di aneddoti, attribuita all’esercito di Francesco Il di Borbone (1836-1894), soprannominato “Franceschiello”, ultimo re delle Due Sicilie prima dell’unificazione d’Italia.

Essere il figliol prodigo
Significa tornare, pentito, all’obbedienza verso un’autorità familiare, politica, religiosa —che si era rinnegata. Non sempre questo ritorno è salutato con un’accoglienza festosa, a braccia aperte, come quella fatta al figliol prodigo della parabola evangelica (Luca, 15, 11-32). Nell’accezione comune, il dato essenziale che contraddistingue la figura del figliol prodigo è il pentimento.

Essere un creso
Essere smisuratamente ricco, come Creso, re della Lidia, regione dell’Asia Minore, che regnò dal 560 al 546 a.C. La sua fama proverbiale si deve ai Greci, stupiti dei ricchissimi doni votivi che il re mandò al santuario di Delfi.

Essere il mèntore
Essere il saggio consigliere di qualcuno, colui che ne tutela gli interessi, come lo fu il vecchio Mentore, personaggio dell ‘Odissea omerica, nei riguardi di Ulisse che, partendo per Troia, gli aveva affidato la sua casa e la protezione del figlio Telèmaco.

essere l’ottava meraviglia del mondo
Si dice di cosa, monumento, spettacolo o realizzazione tecnica, che sbalordisce per bellezza o perfezione, tanto da poter essere paragonata alle “sette meraviglie del mondo” della tradizione antica, che erano: le piramidi d’Egitto, la tomba di Màusolo (il “mausoleo”) ad Alicarnasso, il tempio di Diana a Efeso, i giardini pensili di Babilonia, la statua di Zeus a Olimpia, il colosso di Rodi e il faro di Alessandria. Spesso la locuzione è usata in senso ironico, a significare che l’ottava meraviglia è tale solo per chi la decanta.

Essere più tondo dell’ o di Giotto
Antico detto toscano (ne parla il Vasari nella Vita un di Giotto, là dove narra di quando il maestro mandò al Papa, quale saggio della propria arte, un semplice ma perfettissimo cerchio tracciato senza compasso, “che fu a vederlo una maraviglia”), riferito alla persona ignorante e ottusa. Tondo, insomma, già ai tempi di Giotto stava per “tonto” (“pigliandosi tondo in Toscana”, pro-segue il Vasari, “oltre alla figura circolare perfetta, per tardità e grossezza d’ingegno”).

Essere un cincinnato
Rinunciare a onori e ricompense, alle quali si avrebbe diritto per aver reso grandi servigi a una causa, alla patria, e ritirarsi in modestia e semplicità a vita privata. L. Quinzio Cincinnato, nominato dittatore nel 458 a.C. per salvare Roma dalla minaccia degli Equi, assolse con successo il compito affidatogli e poi, evitando onori e cariche che nessuno gli avrebbe negato, tornò a coltivare i propri campi.

Essere nell’ occhio del ciclone
Si chiama “occhio” del ciclone la zona centrale di esso, dove la pressione atmosferica è più bassa. In senso figurato, il modo di dire indica una situazione di grave pericolo ed equivale a trovarsi nel folto della mischia e simili. Tanto per esser pignoli, bisogna tuttavia ricordare che nell’occhio del ciclone vi è calma assoluta e cielo sereno, mentre tutto intorno turbinano venti micidiali.

Essere un (o fare) il portoghese
lntrufolarsi senza pagare il biglietto tra il pubblico che assiste a uno spettacolo teatrale o sportivo. Si racconta che nel XVIII secolo, per celebrare un avvenimento, l’ambasciata del Portogallo a Roma offri uno spettacolo al teatro Argentina per il quale non diramò biglietti d’invito, informando che sarebbe bastata presentarsi al teatro dichiarandosi portoghesi. Del che approfittarono molti buoni “Romani de Roma”.

Essere la cenerèntola
Oltre che alla fanciulla ingiustamente trascurata, come quella della nata fiaba di Perrault e dei fratelli Grimm, la definizione si applica a cose, arti, Paesi tenuti in scarsa considerazione è usato scherzosamente anche al maschile.

essere una santippe
Essere una moglie bisbetica, insopportabile, quale secondo la tradizione era Santippe, moglie di Socrate.

Essere un (o fare il) camaleonte
Si dice dell’opportunista, pronto a mutare bandiera e opinione secondo la convenienza, soprattutto in politica. La pelle del piccolo rettile che ha questo nome assume, entro certi limiti, il colore dell’ambiente circostante, ciò che gli consente di mimetizzarsi.

Essere in bolletta
Scherzosamente, essere squattrinati, al verde. Era chiamata “bolletta” la polizza del Monte di Pietà, cioè la ricevuta dell’oggetto dato in pegno contro il prestito di una piccola somma. E chi è costretto a impegnare oggetti al Monte di Pietà non naviga certo nell’oro.

Essere sotto (o avere sul capo) una spada di Dàmocle
Trovarsi sotto una minaccia costante e incombente che può da un momento all’altro diventare realtà. Dionigi il Vecchio, tiranno di Siracusa, per far capire a Damocle, il quale lo adulava invidiandogli potenza e ricchezza, quanto sia precaria la posizione del potente, lo fece sedere sul proprio trono, su cui aveva fatto sospendere una pesante spada trattenuta al soffitto da un esile crine di cavallo essere una banderuola Cioè incostante, pronto a mutar parere e partito, come la piccola lastra girevole in forma di bandiera, di gallo, eccetera, che si usava porre in cima ai tetti e ai campanili per indicare la direzione del vento.

Essere male in arnese
Esser malvestito, in cattive condizioni economiche o di salute. Essere bene in arnese vuol dire, naturalmente, il contrario. Un tempo, arnese significava armatura, e anche indumento. Viene dall’antico francese harneis, “armatura”, a sua volta derivato dallo scandinavo hernest, “equipaggiamento per l’esercito”.

Essere un arpagone
Cioè un avaraccio. Arpagone, protagonista de L’avaro di Molière, è forse il più celebre avaro di tutta la letteratura. Avaro e avido, smanioso di arraffare. D’altronde, come nome comune, arpagone era il rostro con cui una nave uncinava la nave nemica per l’arrembaggio.

Essere senz’ arte nè parte
O non avere né arte néparte. Non possedere alcuna preparazione, non conoscere alcun mestiere e perciò anche, spesso, essere un fannullone che vive alla giornata. Probabilmente quell’arte si riferisce alle corporazioni di mestiere medievali, che secondo i rispettivi interessi prendevano parte, partito, nella lotta politica.

essere l’Anfitrione
Anfitrione è colui che offre il pranzo e lo anima intrattenendo gli ospiti. Da dove il nome? Secondo il mito greco, portato sulle scene da molti commediografi, da Plauto a Molière a Giraudoux, Anfitrione è un eroe tebano, sposo di Alcmena. Invaghitosi di quest’ultima, Giove assume le sembianze del marito, mentre Mercurio prende l’aspetto del servo di lui, Sòsia . Al ritorno a casa dei due, si succedono gli equivoci: Sòsia è preso a bastonate da Mercurio, Anfitrione reclama invano i suoi diritti, finché Giove non svela l’arcano invitando tutti a un bel pranzo. Ospiti e servi sono tuttavia sbalorditi, incerti sulle varie identità, ed è al povero Sòsia che Molière mette in bocca la battuta: Le véritable Amphytrion est l’Amphytrion où l’on dìne, “il vero Anfitrione è quello dal quale si pranza”. Così il termine è entrato nell’uso.

Essere la fabbrica del duomo
Si dice di impresa che, per le immani dimensioni o per l’inefficienza o pigrizia di chi vi pone mano, non è mai finita. Allo stesso modo delle grandi cattedrali, che richiedono ininterrotti lavori di restauro e di manutenzione. A Roma si usa l’analogo essere la fabbrica di San Pietro.

Essere un’ acqua cheta
Dal proverbio: L ‘acqua cheta rode i ponti. Si dice di una persona apparentemente tranquilla irreprensibile, innocua, ma che sotto sotto persegue con costanza i propri fini, da noi reputati dannosi; proprio come una lenta corrente d’acqua, che si direbbe quasi senza movimento, ma che a poco a poco mina le fondamenta dei ponti La locuzione è stata “rilanciata” dalla commedia omonima (1908) di Augusto Novelli.

Essere I’ ebreo errante
Lo si sente dire, quasi sempre in tono scherzoso, a proposito di chi si agita continuamente, non riesce a star fermo in un posto, quasi che, perseguitato da una maledizione, non possa mai trovare pace. Un’antichissima leggenda narra di un ebreo che, per avere offeso Cristo sulla via del Calvario, fu condannato a errare senza sosta fino alla fine del mondo, avendo solo cinque soldi in tasca. La leggenda ha ispirato musicisti, poeti e romanzieri, tra cui Wordsworth e Goethe.

Essere (o fare) un’ ecatombe
Un massacro, una strage; ed è detto sia seriamente, per esempio a proposito di una battaglia, di una sciagura che miete molte vittime, sia scherzosamente, per esempio a proposito di un esame, di un concorso che vede una strage di candidati. Per gli antichi Greci, l’ecatombe era il sacrificio agli dei di numerosi animali (letteralmente “cento buoi”).

Ecce ancilla Dòmini!
Latino: ecco l’ancella del Signore! Fu la risposta di Maria all’angelo che le annunciava la immacolata concezione di Cristo (Luca, 1, 38). La si cita in segno di umiltà o a volte, con ironia, alludendo a una donna sottomessa (magari solo in apparenza) ai voleri del consorte.

ecce homo!
Latino: ecco l’uomo! L’hanno ridotto un ecce homo; Sembrava un ecce homo, cioè in cattivo stato a furia di percosse o per altre sofferenze. Le parole, secondo la narrazione evangelica (Giovanni, 19, 5), furono dette da Pilato nel presentare alla folla impietosa Gesù sanguinante, coronato di spine e vestito col manto di porpora per irridere alla regalità terrena alla quale lo si accusava di aspirare.

Eden
Il paradiso terrestre, secondo la narrazione biblica (Genesi, 2, 8-15), e per traslato luogo o condizione piacevole.

Essere un eldorado
Un miraggio di ricchezza e di benessere, come il paese di Cuccagna, di Bengodi , ecc. E! dorado (spagnolo: “il dorato”) era il nome di un supposto re (periodicamente unto e co-sparso di polvere d’oro) di Manoa, città favolosamente ricca che avrebbe dovuto trovarsi sul Rio delle Amazzoni, invano cercata da generazioni di esploratori spagnoli, portoghesi e inglesi, tra cui sir Walter Raleigh.

Elementare, Watson (pron. “uòtscen”)
Si dice, spesso scherzosamente, commentando la spiegazione, magari tutt’altro che elementare, di una faccenda oscura e complicata. La frase ricorre di frequente nella serie di romanzi dell’inglese A. Conan Doyle dedicata alle inchieste del principe dei detectives dilettanti, Sherloek Holmes, che la rivolge al suo sbalordito assistente dottor Watson quale preambolo alla spiegazione dei più intricati casi polizieschi.

Eminenza grigia
Si dice di chi, senza parere, è il vero artefice, l’ispiratore segreto di un’azione politica o d’altro genere. L’appellativo fu dato al cappuccino père Joseph, Francois Leclerc du Tremblay (1577-1638), agente e fidato consigliere di Richelìeu. L’espressione derivò dal colore del saio del frate e dal titolo di eminenza che spetta ai cardinali.

Enfant prodige (pron. “anfàn prodiz”)
Francese: fanciullo prodigio. E’ il bambino che mostra straordinarie attitudini per un’arte o una scienza.

Enfant terrible (pron. “anfàn teribl”)
Francese: bambino terribile. Indica il ragaz-zo e non solo il ragazzo che non dà tregua agli adulti con le sue rnarachelle o che li mette in imbarazzo con osservazioni e domande inopportune. Dal titolo
Les enfants terribles —di una serie di disegni umoristici del Gavarni (Sulpice-Guillaume Chevalier), disegnatore francese del secolo XIX, ripreso da Jean Cocteau per un suo racconto (1929).

en passant (pron. “an pasàn”)
Francese: passando. Lo stesso che “fra parentesi, incidentalmente, di sfuggita”, riferito a cosa non avente stretta attinenza con la discussione in corso, e venuta in mente lì per lì.

En plein (pron. “an plèn”)
Francese: in pieno. In espressioni comefare l’en plein, un en plein, conseguire, per fortuna o per abilità, un successo completo. Da certi giochi d’azzardo, in particolare la roulette, ove designa la vincita, meno probabile e perciò più remunerata, di chi ha puntato sul numero sul quale si ferma la pallina.

E plùribus unum
Latino: da più, uno. Motto degli Stati Uniti d ‘America, con riferimento all’unione federativa dei vari Stati membri.

Eppur si muove!
La celebre frase, citata a volte per affermare, anche caparbiamente, l’immutata fede nella validità di una tesi respinta dalla maggioranza ottusa, sarebbe stata pronunciata, secondo la leggenda, da Galileo Galilei il 22 giugno 1633, dopo che ebbe letto in ginocchio l’abiura alle teorie eliocentriche da lui propugnate e giudicate eretiche dal Sant’Uffizio.

Equilibrio del terrore
Così è designato l’equilibrio di forze tra le due massime potenze, U.S.A. e U.R.S.S., venuto a crearsi con la parità dei rispettivi arsenali nucleari, capaci ditali immani distruzioni da dissuadere e l’una e l’altra parte dal farvi ricorso.

Equilibri più avanzati
Indirizzo politico, di significato non molto chiaro alla maggioranza degli elettori italiani, mirante a concretare un efficace concorso delle forze di sinistra anche di opposizione alla formazione delle decisioni politiche generali. Ma un equilibrio più avanzato, almeno in fisica, non può essere che uno squilibrio.

Errare humanum est..
..perseverare autem diabolicum, latino: “sbagliare è umano, ma perseverare [nell’errore] è diabolico”. Massima composita, la prima parte della quale risale a Seneca il Retore (padre del filosofo L. Anneo Seneca) mentre la seconda, che la emenda e completa, è attribuita a san Bernardo (Sermones 1, 1], 5).

essere o non essere
Inglese: to be or not to be... “questo è il problema”, prosegue Amleto all’inizio del famoso monologo (atto III, scena la) nell’omonima tra-gedia shakespeariana, meditando sull’enigma dell’esistenza, e si sente spesso ripetere a proposito di un problema sconcertante o, scherzosamente, quale esortazione a “essere all’altezza”.

Est, est, est
Latino: c’è, c’è, c’è. Nome di un celebre vino di Montefiascone alla cui origine è una vecchia leggenda, protagonista un Fugger, vescovo tedesco amante del buon vino che, venendo a Roma, si fece precedere da un domestico incaricato di assaggiare il vino nelle osterie e di segnalare la presenza di quello buono scrivendo sulla porta delle stesse, est, “c’è”. Giunto a Montefiascone, il domestico vi trovò un moscato cosi squisito che si senti in dovere di avvertir-ne con un triplice est il padrone, il quale si inebriò di quel nettare fino a morirne.

Est modus in rebus
Latino: c’è una misura nelle cose. Massima oraziana (Satire, 1, 1, 106) esprimente l’ideale classico del limite, della misura, del giusto mezzo, citata anche per esortare alla moderazione, per ricordare che esistono limiti da non superare.

Ex abrupto
Latino: all’improvviso. Si dice di un’osservazione brusca, inattesa, di un discorso fatto senza preamboli, entrando subito nel vivo dell’argomento.

Ex aequo (pron. ‘eks èkuo”)
Latino: a pari merito, e dividendo in parti uguali l’eventuale premio. Si usa specialmente a proposito di concorsi o di gare sportive.

Ex càthedra
Latino: dalla cattedra. Espressione usata a pro-posito della infallibilità del Papa quando parla in materia di fede cx cathedra, cioè dalla cattedra di Pietro, e perciò assistito dallo Spirito Santo. Per estensione, parlare ex cathedra è usato nel senso di “parlare in tono saccente”, con ingiustificata alterigia e sussiego, con perentorietà che non ammette discussione.

Ex nihilo nihil (pron. “eks nìilo niil”)
Latino: dal nulla, nulla. Dal niente non viene niente; non si cava sangue da una rapa . È un celebre aforisma che riassume la filosofia materialistica di Lucrezio e di Epicuro, negatrice della creazione.
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